Roberto Rosati

DURANTE - 1^ parte

"Possedere della documentazione scritta su un evento occorso tra il 1949 e 1952 non è per sé un fatto scontato, date le vicissitudini umane. Tentare di riesumare l'evento a freddo, misconoscendo i cinquant'anni nel frattempo trascorsi e di rivitalizzarlo con l'aiuto della semplice memoria, sarebbe un'ingenua presunzione".

Mentre ruminavo tali pensieri in mansarda scoprii, frugando nei cassetti di una scrivania mezzo tarlata, un quaderno del liceo contenente degli appunti miei e delle annotazioni di vario genere, maschile e femminile: il diario, ritrovato dopo faticose ricerche, se ne stava nascosto in un angolo buio di un mobile dei genitori.

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Con l'aiuto del computer, nel seno della macchina ho voluto rielaborare gli appunti, avvicinandomi ai sentimenti e alle emozioni d'allora.

Il lavoro che ne risulta non è, per la verità, sola farina del mio sacco dei bei tempi del liceo; esso è, in parte, anche farina del mio sacco, diciamo, d'oggi che rivolgo lo sguardo ad un passato così lontano.

Scimmiottando l'introduzione di Edmondo De Amicis al 'Cuore,' il mio lavoro potrei così presentarlo:

"Storia di tre anni scolastici, scritta da uno studente d'un liceo classico delle scuole statali d'Italia. Dicendo scritta da uno studente, non voglio dire che l'abbia scritta propriamente lui, tal qual è stampata. Egli notava man mano in un quaderno, come sapeva, quello che aveva visto, sentito, pensato, nella scuola e fuori, e colui che potrebbe essere suo nonno, cinquant'anni dopo, scrisse queste pagine su quelle note, studiandosi di non alterare il pensiero, e di conservare, quanto fosse possibile, le parole del nipote".

Anziché scrivere 'queste pagine su quelle note,' sarebbe stato meglio che il nonno avesse cancellato e pagine e note.

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DURANTE

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È il primo giorno di scuola e io mi trovo seduto ad un banco di legno del liceo 'Govone' d'Alba - sezione staccata di Bra.

Prima di giungere a Santa Vittoria ho vissuto per periodi diversi, sia pur brevi, in altri sette paesi, o cittadine, dell'Alta Italia; nel nuovo ambiente mi sento, francamente, spaesato: la testa mi gira, e il mondo gira intorno a me.

La porta d'ingresso all'aula s'apre sulla parete di fondo, vicino al punto d'intersezione di questa col muro interno del locale; a un'estremità del muro interno (quello di fianco alle scale) è ricavato un ripostiglio, dove conservo le bottiglie di barbera. Sulla porta del ripostiglio si leggono le parole da me incise con grafia incerta:

'foied vino pipafo, cra carefo'.

La cattedra si erge su una timida pedana di legno.

Due finestre ritagliate sulla parete esterna (quella sulla via Vittorio) rallegrano lo spirito delle ragazze,

'distribuendo igualmente la luce'<

su ciascuna di loro.

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Siedo alla fila di destra, avanti, vicino alla cattedra; alla mia dritta Nini, un tipo che ha letto tutti i libri della biblioteca paterna.

Sorriso dipinto sul volto, Nini è sempre pronto a canzonare chiunque, escluso me: che mi prenda forse per una persona seria? Non mi sembra comportamento da par suo; mi riservo, in futuro, di controllare.

Egli ascolta le mie confidenze, mi assiste negli studi, studia addirittura con me il pomeriggio, a casa sua - casa 'Borsarelli' - dove dalla severa mamma, o dalla soave sorella ci viene servito, alle sedici, il tè con i biscotti 'Le Due Marie'.

Il padre di Nini, di rientro dal lavoro, scivola silenzioso nel corridoio e ci sorride.

Nini mi fa provare l'impressione piacevole che può ispirare un buon angelo custode, di quelli di una volta.

Che sarebbe di me senza Nini? La sua principale virtù è l'imperturbabile pazienza che esprime allorquando la mia ignoranza lo colpisce alle spalle: ha forse compreso che sono un barbaro che viene dal freddo, e teme il freddo? O vuole invece compiere su di sé degli esercizi d'autocontrollo per diventare, un giorno, un perfetto anacoreta?

Che ne sarebbe di me se dovessi studiare in trattoria, sotto l'ala di corso Garibaldi, ove a mezzogiorno consumo un pasto frugale?

Vecchi saggi trascorrono il pomeriggio tra mazzi di carte e bottiglie di dolcetto; sarei tentato anch'io di diventare saggio: come se non lo fossi abbastanza, sotto quest'aspetto, dico quello del vino, alla mia età!

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Mi levo la mattina, come molti altri miei colleghi colombi viaggiatori che si recano a scuola in treno, un'ora avanti il sole, al trillo dell'invisibile sveglia.

La sveglia è invisibile non perché non esista, insieme con altri oggetti, sul mio comodino; ma per il buio intenso che regna nella stanza da letto, la cui unica finestra dà sul corridoio interno: su tutti gli oggetti contenuti in quest'oscuro ambiente spiega, perciò,

'L'ali sue nere... la Notte.'

Levatomi, do con la zucca in uno stipite e accendo la luce: questo fastidioso atto quotidiano segna il mio risveglio ufficiale. Dovrò fare spostare lo stipite, un giorno o l'altro, o collocare un abat-jour sul comodino da notte.

Una scodella di latte caldo e via, di corsa, per la ripida china del colle, la cartella impugnata come i cavalieri antichi brandivano forse la spada quando inseguivano un fellone, per non perdere l'equilibrio; giù di corsa per le scorciatoie ripide e insidiose.

Giungo alla stazione prima dell'arrivo di un treno, con cui ho ingaggiato una gara di velocità fin da che l'ho sorpreso, con la coda dell'occhio e con il sensibile orecchio, sull'alto, dalla cima della collina: l'ho udito fischiare e veduto sbucare alla curva del suo ultimo rettilineo. Il capostazione è arbitro, berretto in testa e paletta in mano, pronto a proclamare il vincitore.

Non ricordo quante volte - ma sono tante - abbia vinto questa disfida con le ferrovie dello Stato, per frequentare quel liceo che diverrà famoso per le imprese dei suoi atletici studenti.

Fra di noi si annoverano molti colombi viaggiatori: il cinquanta per cento dell'intera popolazione scolastica, stimo; supereremmo tale percentuale se taluni non si comportassero da crumiri, rinchiudendosi volontariamente in collegio e sottraendosi, in tal modo, ai viaggi di andata e ritorno, dalla gabbietta di casa alla voliera di Bra e viceversa.

Poveri noi! Se vivessimo ai tempi di Federico lI di Svevia - Stupor Mundi - eviteremmo le

'peregrinationes', et di 'in alienis regionibus mendicare'; otterremmo che 'Hospitium quod melius in civitate fuerit locabitur scolaribus pro duarum unciarum auri pensione... Pro frumento, vino, carnibus, piscibus et aliis, quae sunt opportuna scolaribus..., omnia vendentur scolaribus sicut civibus et sicut vendentur etiam per contratam.'1

1Lettera circolare di Federico II per la fondazione dell'università "Studium" di Napoli, protocollata da Siracusa il 5 giugno 1224.

I colombi stanziali veri e propri sono in netta minoranza; essi godono di vantaggi gratuiti, ingiustificati, immotivati e spropositati: sfido che sembrano più bravi, più intelligenti perfino!

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La professoressa di scienze annunziò, ieri, Darwin; quando ci fummo ripresi dallo smarrimento, chiese:

- "Ha forse letto, qualcuno di voi 'Sull'origine delle specie?"

Senza alcuna esitazione alzai il braccio:

- "Io!"

Meraviglia intorno.

- "Che cosa ne pensa?"

Assunsi, solo in quel momento, improvvisa coscienza della mia dabbenaggine: del libro, non avevo sfogliato che le prime pagine. La domanda, secca, attendeva tuttavia risposta; scelsi la confessione:

- "Ho letto la premessa..."

Risata grassa di tutti i soci del club, compreso Nini; risata che mi riscaldò il cuore: sentii, infatti, d'avere perso una professoressa, ma d'avere trovato molti amici.

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Sono solitario, ombroso, selvatico.

Solo chi m'avvicina col sorriso, con garbo, con arte, evita d'essere azzannato. Il paragone con il mio cane lupo renderà l'idea. Accosto il mio cane lupo, che ha un comportamento bizzarro perché soffre di reumatismi, fissandolo negli occhi: se vi leggo l'autorizzazione, mi dilungo in una filza di bassi complimenti, la più parte veri, però; dipingo un sorriso sulle labbra, al quale Tex risponde con uno speciale sorriso sulle sue labbra; mi chino al suolo facendomi piccino e inizio la marcia d'avvicinamento: a distanza opportuna allungo un braccio verso il suo muso per la leccata della pace e la cerimonia termina felicemente.

Così dovrebbe avvicinarmi la gente.

Normalmente quest'impresa riesce alle femmine e ad uno sparuto manipolo di maschi.

Tra le nostre femmine, quelle che la tentano sono poche o nulle: dopotutto, c'è prima Gian da guardare, e Guido lI, e PierGiuseppe, e Nino, e Battista, ecc.

Ciascuno di codesti eroi è simile ad un

'guerriero

D'apparenza divina'

(intendo guerriero di Venere, non di Marte); ciascuno di costoro è

'tale al portamento,

Che un Dio detto l'avresti'
un 'drudo di beltà divina'.

Fra i maschi, solo un innocente - o un autolesionista - può tentarla: ma tant'è, la giovinezza offre esemplari di tale tipo d'incoscienza e nemmeno troppo rari, nonostante tutto.

Io non ho mai cercato compagnia di mia spontanea volontà, per timidezza, per ritegno, per una forma rara di possibile idiozia.

Forse perché, con Brichard mi chiedo, ad ogni affacciarsi di nuove prospettive di freschi rapporti con altro essere, specie umano:

'di tale essere

che ne voglio fare?'2

2Brichard, come noto, si riferisce a un essere umano di sesso squisitamente femminile: 'Quando si ama una donna, ci si dice: che ne voglio fare?' (stendhal, VIta di Henry Brulard - Ricordi d'egotismo, Adelphi Ed., MI, 1997).

Chi invece mi ha avvicinato, maschio o femmina, è rimasto poi con me per sempre.

Con le bestie è diverso: ci troviamo bene insieme, loro e io, dopo i primi convenevoli; c'intendiamo, proviamo gli stessi sentimenti, le medesime emozioni, coltiviamo la stessa filosofia.

Tra gli esseri pensanti tutti mi stimano, mi amano, tenendosi però a distanza: così Ascanio Sobrero amava la sua nitroglicerina.

Io non me la godo per niente in questo splendido isolamento, come non se la gode il detenuto nella cella.

Tale è il mio piccolo dramma personale, che coltivo dentro e che non trapela fuori; fuori appaio normale, come normale appare la maggioranza delle persone, che nell'intimo lotta per le ragioni più strane.

Non so se un giorno avrò il coraggio d'approfondire l'esame di me stesso: temerei di scoprire, accanto a spunti di generosità, di coraggio, di franchezza, di prodigalità, di sopportazione, di grandezza insomma, tracce d'egoismo, di codardia, di mendacità, d'avarizia, d'insofferenza, di meschinità.., troppi 'di', decisamente!

Se saprò confessare i difetti che, a braccetto, accompagnano le mie virtù, sarò un filosofo; se praticherò i miei lati positivi, diverrò un grand'uomo.

Ci vuole ben altro, per diventare grande! Chi mai si può permettere, infatti, d'essere franco, nella vita, coraggioso, prodigo, generoso e di nutrire insieme ambizioni serie di fare carriera?

Perfezionando le regole per diventare grand'uomini concludo che bisogna esaltare i propri lati positivi, ma riferirsi spesso, nella pratica, a quelli negativi. In dialetto

'Fra Mòdest a diventa mai priòr'.

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Ci sentiamo dei pulcini bagnati; ci esaltiamo alle letture proibite degli autori rispettabili. Ecco degli stralci di brani proibiti.

Achille, dopo ricevuti e restituiti con gli interessi gli aspri rimproveri fattigli recapitare da Agamennone, perché non partecipa alla lotta, si ritira nei propri attendamenti:

'Ritirossi il Pelìde, ed al suo fianco

Lesbia fanciulla di Forbante figlia
Si corcò la gentil Dìomedèa.
Dormì Patroclo in altra parte; e a lato
Ifi gli giacque, un'elegante schiava
Che il Pelìde donògli il dì che l'alta
Sciro egli prese, d'Enïeo cittade.'

Che uomo, l'Achille! E quanto si era fortunati ad essergli amici! Che tempi, quelli dei diverbi fra Teucri e Achei sotto le mura di Troia!

Senti che razza di tangenti Agamennone sarebbe disponibile a pagare ad Achille, sotto banco, per renderselo amico; parla Ulisse:

'Ti elargisce inoltre

Sette d'alma beltà lesbie donzelle,
D'ago esperte e di spola...'

(tanto, infatti, interessava ad Achille: che fossero esperte d'ago e di spola)

'...e da lui stesso

Per lor suprema leggiadrìa trascelte
Il dì che Lesbo tu espugnavi. A queste
La figlia aggiunge di Brisèo, ...'

(trattasi di Briseide, quella che I' 'Aga' era riuscito a sfilargli, facendone traboccare l'ira)

'...giurando
Che intatta, o prence, la ti rende.'

(Bah!)

O tempora, come siete cambiati! O mores, come vi siete fatti, ormai, virtuosi senza speranza!

Se vogliamo trarre una morale, è questa: Omero ci dimostra che le schiave esistevano anche allora.

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Non dovrei pensare alle dame in questo registro erotico?

Non dovrei, certo, assomigliare a quello sfrontato d'Ovidio, quando esorta noi uomini:

'...le donne

ingannatele pure impunemente'.

Io non mi spingo così lontano, sulla via del cinismo.

Ma sono giovane, in mezzo a giovani, e tutti dovrebbero sapere

'chenti e quali e con che forza vengano le leggi della giovanezza'!

Gli antichi, a ogni modo, andavano per le spicce con le signore: Alcesti, per esempio, è usata come palio in una gara di atletica.

Di Lawrence ne bisbigliamo appena, tra di noi maschi: non c'è chi ne possieda, in verità, un'approfondita conoscenza; ci si scambia, in ogni modo, a proposito e a sproposito, occhiate astute, sorrisetti maliziosi, biglietti salaci.

Navigando sempre per i flutti dell'oceano femminino, m'imbatto in quell'adoratore di dame, il Boccaccio:

'Dicono dunque alquanti de' miei riprensori che io fo male, o giovani donne, troppo ingegnandomi di piacervi, e che voi troppo piacete a me. Le quali cose io apertissimamente confesso, cioè che voi mi piacete e che io m'ingegno di piacere a voi: e domandogli se di questo essi si maravigliano, riguardando, lasciamo stare l'aver conosciuti gli amorosi basciari e i piacevoli abbracciari e i congiungimenti dilettevoli che di voi, dolcissime donne, sovente si prendono, ma solamente ad aver veduto e veder continuamente gli ornati costumi e la vaga bellezza e l'ornata leggiadria e oltre a ciò la vostra donnesca onestà'.

Sono d'accordo: voi siete, care 'femine', dolcissime come il 'Triploconcerto di Beethoven in do maggiore, op. 56, lI parte,' o come 'Le Cygne, da Le Carnaval des Animaux, di Saint-Saëns': su ciò può essere d'accordo anche il virtuoso di clavicembalo Angelo (non lo strimpella malaccio).

La penserei come lui - come il Boccaccio - se pure fossi vecchio e saggio (egli mi è, tra l'altro, caro, perché scriveva il 'Decameron' - sei secoli fa - nei medesimi anni in cui frequento il liceo: tra il '49 e il '52).

Il discorso sull'altra faccia della luna, iniziato avanti le lezioni, prosegue ininterrotto in aula, soffocato però dalla necessità di seguire temi non sempre pertinenti, secondo noi, né a volte di diretto interesse, sviluppati alla cattedra; per essere poi concluso in via Vittorio, a termine giornata, quando ci separiamo per rispondere ad altro richiamo, altrettanto impellente anche se meno romantico: l'appetito.

Sono sorpreso della sopportazione, o della rassegnazione dei docenti nei riguardi di chi, fra di noi, deve pure arrecare disturbo in aula e dare un sacco di fastidio!

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Si ragiona molto anche delle nostre ragazze, tutte raccolte nei loro banchi con l'aria di volersi difendere da non so chi: verrà un giorno in cui le 'femine' abbandoneranno la posizione difensiva e passeranno all'attacco. Per ora non vi passiamo neppure noi, maschietti, all'attacco:

'Evvi Ginevra ed Isotta la blonda'...

Evvi Ines, dall'incarnato delicato,

'...la Diva
Cui tinge gli occhi un'azzurrina luce'.

Evvi Rita, desiosa che il prof la interroghi per salvare noi altri comuni mortali dalla calamità di essere consultati alla cattedra: è una spigolatrice di nove e di dieci...

'pari a Minerva nell'ingegno';

ella incede verso quello che noi diciamo il patibolo col fiero portamento della figlia di un faraone.

Evvi Clara, che a me pare assomigli un po' alla Dama con Liocorno.

Evvi Lucilla,

'Nausicaa bella dalle bianche braccia'

la quale attrae i nostri sguardi conturbati, come la calamita gli spilli.

Evvi Mavi,

'...La Dea che in giro
Pupille tinte d'azzurrino muove'.

Io la chiamo Santa-Maria-Vittoria-d'Alba e ciò tanto diverte la bidella, che se la ride sulla porta del suo ufficio, a piano terreno.

Evvi Maria Pia di cui si diceva, fin dal primo giorno di scuola, che

'...il vanto
di beltà contendesse a Citerea'.

È, in realtà, una creatura terrestre, che si destreggia bravamente fra le emozioni da lei medesima suscitate nel pubblico dei propri sostenitori, guidata, nel dribbling, da un solido raziocinio, come capitana su mare in tempesta.

A proposito: Afrodite non nacque certo, come si sa, nel mare di Norvegia, avendole la Sorte graziosamente concesso di sorgere dalle acque egee. Ora, mi chiedo, le dee che sorgevano dalle acque egee o da altri flutti a quelle latitudini, potevano forse nascere - eccezion fatta per Minerva - bionde o con le pupille castane o glauche? O non brillavano invece di crini corvini e di iridi brune?

'Era costei bellissima del corpo e del viso quanto alcun'altra femina fosse mai, e giovane e gagliarda e savia più che a donna per avventura non si richiedea.'

I raggi del sole penetrando, nelle giornate serene, attraverso i vetri delle finestre, accentuano la luce propria delle nostre ragazze.

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Il docente, irritato dal comportamento arrogante della teppaglia assiepata specialmente nella fila destra dell'aula, muove il capo e indirizza, sdegnato, la parola al centro; dove polarizza, egli ben lo sa, l'attenzione delle menti più fulgide dell'intero branco: Férrer, Gian, Giovanni, Guido I (in ordine alfabetico), Nino, Pepon...3

3La distinzione alfabetica tra Guido I e Guido II è puramente casuale, anche se il fatto possa avere una lontana parvenza di realtà.

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Il sorriso della professoressa di italiano è attraente, intrigante e infonde, nell'animo di chi si reputi un'abile e scaltrita volpe, preoccupanti sospetti:

- "Gerusalemme Liberata: mi parli del canto IV."
- "Plutone spedisce sulla terra i diavoli dell'inferno perché creino dei problemi nel campo cristiano: un mago, che possiede una bella nipote, è indotto a mandare la signorina tra i cavalieri cristiani, perché li convinca a disertare."
- "La signorina riesce a convincerli?"
- "Signora sì."
- "In qual modo?"

La scolaresca, specie quella al femminile, che segue la vicenda con estrema attenzione, a questo punto aumenta (l'attenzione, n.d.a.).

lo non me la sento d'entrare nei dettagli della vicenda; la seduzione non mi pare argomento adatto né al luogo né alla circostanza.
- "Dunque?"

Attento! Le ragazze ti spiano, la professoressa ti scruta: guai se arrossisci!
- "Ma! la ragazza era molto bella..."
- "Quanto bella?"

Un attimo di incertezza, mio rossore generale e commetto l'imperdonabile:
- "Come Esther Williams, per esempio."

Le 'femine' prima zampillano risa, poi si tergono le lacrime; la professoressa sfodera il suo sorriso più innocente a ratifica della mia sconfitta: uno dei capi sovversivi è debellato, il suo onore calpestato per sempre.

Mi sento altri dagli antichi guerrieri cristiani i quali caddero, credo, vittime di seduzioni, non di slealtà.

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Sento d'appartenere ad una famiglia nella quale, pur essendo uno dei fratelli maggiori, mi considero inferiore agli altri e alle altre, senza discriminazione di sesso o d'età.

Non intendo attribuire voti, compilare classifiche, esprimere pareri, redigere note caratteristiche; sono tutti molto bravi, ma nessuno ha mai pungolato il mio amor proprio, nessuno mi ha mai edificato: né io loro.

Nessuno di noi ride delle sventure altrui.

Compatiamo chi porti a casa un quattro di greco, di storia, d'italiano o chi - peggio - sia chiamato alla lavagna dal terribile professore di matematica.

Regna, nella classe, una solidarietà, un genio reciproco che ci lega così come le manette i polsi, o la camicia di forza stringe i fianchi del reo: forse per la vita.

Siamo altruisti, solidali, comprensivi, collaborativi e soccorrevoli, senza invidie, senza scrupoli o condizionamenti.

All'interno delle anguste mura dell'aula ciascuno riconosce e annovera fra i propri confidenti un ragazzo o una ragazza.

I miei confidenti referenti sono Nini su questa faccia e Ines sull'altra della luna; il primo è reale, la seconda virtuale: a Nini confido ogni ansia; se ho poi bisogno di confidarmi con Ines, le rivolgo - credo quanto meno di rivolgergliela - la parola; ma le più volte mi basta fissare

'... la Diva
Che ceruleo splendor porta negli occhi'

e, dall'atteggiarsi delle sue labbra, dalla profondità o dall'incanto o anche dall'ironia, dalla malizia del suo sorriso, traggo lenimento ai miei affanni.

Con Maria Pia dibatto i casi più difficili, che molto a proposito sono anche i meno frequenti e li risolvo al meglio.

Comprende i miei casi anche se. forse per soggezione, non sollevo lo sguardo al suo viso: se non le permetto, cioè, di leggermi negli occhi i problemi; non voglio aggravarne l'esistenza, sapendo che ciascuno di noi - tutta la classe maschile, in effetti - glielo permette: non voglio confondermi con la classe.

Mi sento alleviato delle mie sofferenze ad alcune sue

'sorrise parolette brevi',

allo schiocco della sua aperta gaiezza:

'ed ella rise gioiosamente, con quel simpatico riso di petto ch'era uno dei suoi incanti maggiori'.

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Ruotano parecchi mondi dentro la mia piccola aula; io appartengo a quello dei ragazzi e delle ragazze cui ispiro simpatia: la simpatia, che ha la virtù d'essere reciproca, è la prima responsabile della suddivisione dell'universo in mondi.

Guido I mi è simpatico perché, quando si esterna - esprimerà pure delle indubbie verità: ciascuno, infatti, non solo i professori, annuisce quand'egli apre bocca - quando si esterna, dicevo, io non comprendo un'acca di ciò che dice; e poi perché possiede, come Coppi, un naso e pedala ogni giorno, con l'unica bicicletta da corsa dei dintorni, da casa a scuola e viceversa, durante la bella e la brutta stagione.

Pepon, il silente, mi piace perché condivido tutto ciò che non dice.

Maria Pia, perché è bruna

'La giovinetta dalle nere ciglia'.

Ines perché è bionda; Mavi perché apprezza le mie battute, le perdona sempre, le sta anzi ad ascoltare anche nelle riunioni più rumorose, allorquando tutti parlano contemporaneamente e nessuno capisce niente.

Io guardo a Mavi, o a Rita, come un naufrago alla stella nella notte tempestosa: e mi sento rasserenato.

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Gian non è giammai sereno, ed esprime una perpetua - stavo per dire continua - lotta interiore con un'espressione in volto d'imperturbabilità tale - cioè, senza espressione alcuna - da ricordarmi il ritratto di Dorian Gray.

Piergiuseppe non è mai sereno pure lui, né calmo, né, stavo per dire, equilibrato; e lo dimostra. Non tiro a indovinare, ma da piccolo dev'essere stato il tipo che fa ruotare il gatto per la coda; e, in tempo ancora antecedente, che versa il sale nel latte degli amichetti d'asilo, i quali cresceranno con il riso amaro sulle labbra.

Nini è il mio direttore spirituale; Ferrer. il mio Seneca: 'castigat ridendo mores'.

Ecco un rapido scorcio del grande mondo della mia piccola aula.

Ho parlato in ordine sparso di alcuni e di alcune fra i miei deliziosi compagni; degli altri e delle altre, cui non ho ancora accennato, devo precisare che non mi tornano abominevoli: non ne approfondisco, per ora, la conoscenza, ecco tutto. Ragioni che non sondo, poteri occulti me lo impediscono.

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Con Rina mi sento a disagio.

Ogni altra ragazza è abbordabile, nel senso non sospetto del termine: ho descritto la tattica che pongo in atto per abbordare, per esempio, Maria Pia o Ines (bel bucaniere sono, bel saraceno di stampo classico! Non certamente gemello dei buca e dei sara di un tempo, quando sequestravano le ragazze, tipo la figlia di papa Urbano X e della principessa di Palestrina, fidanzata di un principe sovrano di Massa Carrara e le trattavano come le trattavano!)

Rina rappresenta. per me, l'Hortus Conclusus di Salomone e del D'Annunzio (sacro e profano).

Può apparire inverosimile, ma nel corso dei 365x3 giorni che abbiamo frequentato, insieme, la classe mista, Rina e io non abbiamo mai colto una seria occasione d'incontro per conoscerci meglio; nè di scontro.

Ma, forse, l'inverosimile si spiega in parte con l'errore di calcolo compiuto nel definire i giorni di scuola: non dovrei contarli così, in generale, sul calendario, ma riferirli, più modestamente, alle ore trascorse in aula.

"Fuori - affermano coloro che hanno la fortuna di frequentarla - è una compagnona!"

Io sono un colombo viaggiatore e, fuori dell'aula, me ne volo via.

"Eppure a che si deve - mi domando - una sua diversità così marcata di comportamenti, in aula e nel resto del mondo?" Qui la domanda diventa cornuta: sono io o è lei, il reo?

Se sono io, i fatti sono chiari, il mistero è svelato: ogni sospetto si può nutrire sulla mia natura asociale.

Se è lei allora, per capirla, dovrei ricorrere all'aiuto della Pizia (che non era un esempio di chiarezza!): la Pizia potrà interpretare, a mia richiesta, gli umori, i silenzi, le pause del discorrere di Rina.

Sull'esempio degli altri clienti d'Apollo, che portavano doni a Delfi, quando sarò riuscito a capirla a dovere avrò, penso, già colmato per allora di trìpodi e crateri d'oro e d'argento un tempietto, da me fatto costruire con marmo bianco e pietra nera, accanto al Tesoro degli Ateniesi e a quello dei Sifni.

lo considero Rina una donna di sensibilità delicata: questo lo arguisco pure se a me, creatura terrena non addentro alle cose sacre, a volte ella pare una Turris eburnea.

Vedo, nella mia sfera privata, una damina tosta, fiera, ma timida, forse ritrosa, schiva, che non smentisce il detto d'Ovidio:

'essa è fragile dono'.

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(Fine della prima parte)

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