Anna Guasco Mainardi

TUTTO DOPO 2

Credo sia bello pubblicare a questo punto anche la testimonianza di un compagno, ricevuta da Gianni Franco dopo il trentacinquennio. Si parla qui del valore formativo del Liceo Classico e sembra preludere la battaglia contro la soppressione dello stesso. Il compagno desiderava rimanere anonimo e - rubando lo pseudonimo ad un altro compagno - si firmò Tersite, ma penso sia facile indovinare di chi si tratta.

Ipotesi di titoli:
Com’erano e come sono
Venti ragazzi in gamba
La 3^ Liceo del 1952
Gli ex allievi ringraziano
3^ Liceo, ossia, dell’amicizia.

Pochi giorni addietro, in un locale dell’Albese (ma, in passato, era avvenuto in locali del Braidese), si sono ritrovati i vecchi compagni di una terza liceo, maturati nei 1952. Era il trentacinquennale della maturazione, celebrato con una certa solennità, ma non era una riunione eccezionale.

Gli allievi della III liceo classico di Bra deI 1951/52 si radunano spesso, legati da vincoli che ormai vanno al di là della semplice comunanza di banchi: si è instaurata fra di loro un clima di amicizia profonda, esteso - e ciò è una nota veramente particolare - ai coniugi.

Infatti, da molto tempo le riunioni dei 20 compagnoni, ridotti a 18 per due decessi, comprendono anche le mogli e i mariti ed hanno perso le caratteristiche dei raduni di ex compagni, per diventare incontri di persone legate da vincoli più profondi.

Così, il giorno della riunione, si vedono le sette ragazze, tutte laureate ed ora quasi nonne, fare acrobazie per giungere dai posti più disparati: Ines da Como, Clara da Verona, Lucilla da Siena, e così via.

Gli uomini, poi, fanno salti mortali per calcolare la data; così si vede un più volte ministro (Bodrato) sconvolgere il Suo calendario pur di non mancare mai: non gli sono da meno il generale Rosati, due ingegneri, un professore, il dott. Mainardi di Torino, un provveditore agli studi, un medico-dentista, un ricco e colto possidente, un esattore e, ultimo perché primo, l’avvocato Franco di Alba, che è l‘anima, il patron di questi incontri.

Questi maturi ed affermati ultracinquantenni (perennemente tutti innamorati della loro compagna Maria Pia) hanno mantenuto il rispetto e la devozione per i loro professori di allora; infatti, li invitano sempre, per ringraziarli ogni volta della formazione ricevuta, dell‘esempio di vita, di come furono portati a maturazione con sacrificio, con sofferenza, senza promozioni facili, senza ammiccamenti demagogici. Forse è quella durezza che li ha resi uomini, che ha insegnato loro a soffrire per riuscire (e lo sono tutti), anche se non è la gloria che li unisce, ma l’umiltà con cui si ritrovano, con la gioia nel cuore, senza mai pensare a confronti, tutti uguali, perché tutti compagni di scuola e, soprattutto, tutti amici.

All’ultimo incontro erano presenti, come ai solito, alcuni professori del tempo: la prof.ssa Reviglio, ora preside del Liceo Classico di Bra, la quale è un po’ il simbolo della III Liceo di allora, la prof.ssa Grosso, ora in pensione, come pure il prof. Torrengo; il prof. Pera, di filosofia, sempre gioviale ed in gamba, il prof. Vinassa, poi preside in un grosso istituto di Torino, arguto e dalla voce tonante, disponibile alla pubblica lettura dei parti letterari dei suoi allievi.

Venne anche il momento triste, quello del ricordo dei compagni che non sono più. In particolare, si commemorò Nini Botta, pardon, il professor avvocato Gianfranco Botta, la cui vedova ormai fa parte integrante del gruppo.

Era il Nini, un compagno sensibile, un po’ timido, intrinsecamente colto e sognatore, schivo di ogni ribalta e poeta toccante.

Si lessero alcune sue poesie inedite, da aggiungere al suo volume, pubblicato postumo, ‘La mia malinconia è di trina’: poesie intime, delicate, mature, sofferte, educative.

Nessuno dei suoi compagni lo conosceva come poeta; ma lui non partecipava a concorsi, non pubblicava; scriveva per sé e gli bastava.

Ora, l’inarrestabile avv. Franco sta già tessendo la tela, con una serie di cene preliminari, per organizzare il prossimo rendez-vous.

Se si cerca di capire il perché di questi incontri (ed ogni organizzazione di incontri richiede tempo ed impegno) si scopre che essi avvengono perché quei ragazzi hanno avuto qualche insegnante eccezionale.

Viene spontanea una considerazione, che non è di chi scrive, ma di un autorevole esponente dei mondo culturale: Giorgio la Pira. Fra le sue pubblicazioni, ne ha una del 1957 (‘Le città sono vive’,) con un capitolo riportante più volte un concetto bellissimo: occorre mettere mano all ‘aratro. Dice La Pira, parlando delle vocazioni, che ci può essere la vocazione contemplativa; e allora, dice, tutto sommato questa vocazione può trovare il suo soddisfacimento nel fatto di rinchiudersi nella trappa, di pregare, di contemplare: certo è un sacrificio, ma un sacrificio di un certo tipo. Poi, ci può essere la vocazione sacerdotale: questa, dice La Pira, ha un suo aspetto ben delimitato, che è quello di amministrare i sacramenti, anche se il difficile, per il sacerdote è il suo impegno nel magistero, il suo impegno nella società. Poi, c’è i ‘impegno del laico, del laico che vuole trasformare la società; e, dice, questo impegno è enorme, è immenso: lo troviamo nella scuola, nella famiglia, nel posto di lavoro, ovunque. Ovunque l’uomo voglia trasformare la società, si trova di fronte un campo infinito: allora, occorre metter mano all ‘aratro.

I professori della terza liceo del 1952, nella loro vita, hanno messo mano all’aratro e i frutti della loro aratura sono questi ultracinquantenni che, periodicamente, si riuniscono per ringraziarli, sempre, per la loro azione educativa.

La scuola ha insegnato, la scuola ha formato, la scuola ha maturato.

L’avventura di questa classe che quasi ogni anno si raduna per ringraziare i suoi professori (e ciò avviene da 35 anni), dimostra che, malgrado tutto, il ‘classico’ è una gran scuola, dove si imparano tante nozioni, con durezza e sofferenza, ma sempre finalizzate ad una crescita interiore basata sulla dimensione umana, sempre più destinata a trasformarsi in apertura mentale, in comprensione, in tolleranza, in amicizia con tutti.

Tersite.

 

Poco dopo l’incontro, è mancata Caterina Cravero: quel giorno doveva esserci anche lei a tenere una relazione, ma purtroppo non si è fatta vedere. Il necrologio apparso sul giornale ‘Bra Sette’ dell’8/7/1988 illustra pienamente la sua immagine:

Bra, 4 luglio ‘88
Rina Cravero è morta.

A moltissimi basta questa frase per evocare una snella, elegante figura di signora cinquantenne appartenente a una delle più note e antiche famiglie braidesi. Valida insegnante di lettere, sorella dell’ex sindaco Piero Cravero, sovente partecipe al mondo culturale cittadino. Per chi l’ha amata resta ‘l’indimenticabile Rina’: allegra, vivacissima, con un‘aria sicura e serena che ad alcuni pareva un modo di affrontare spavaldamente una vita che da tempo non riusciva ad accettare con le sue poche gioie e i molti dolori. La morte improvvisa dell’unica bellissima figlia Stefania aveva corroso il suo spirito.

Tutti siamo costretti a riconoscere che abbiamo una psiche sconosciuta ed insondabile più fragile dei nostro già fragile corpo. Inutile quindi tormentarsi con angosciosi interrogativi. con tormentosi sensi dì colpa: l‘universo sommerso nel profondo di ciascuno di noi, se scosso da abissali tempeste, getta il corpo su scogli taglienti. Quanti l’hanno amata conserveranno il ricordo e la voce di Rina che, vivacissima, si pavoneggiava con un cappello bianco a larga tesa e alzava la testa sorridente ad affrontare un mondo che forse la terrificava.

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Il millenovecentonovanta il comitato ebbe una pensata, quella di organizzare una gita scolastica.

La meta scelta fu Bergamo, dove ci saremmo incontrati con Clara Artusio e Ines Canale. Per l’occasione fu affittato un pullman e l’appuntamento per la partenza era la stazione di Bra. Non so ancora oggi perché Guido non volle venire, penso temesse il caldo e il traffico del mese di luglio. Il giorno prescelto io mi recai da La Morra, dove ero in villeggiatura, a Bra. Andai davanti alla Stazione ma non vidi il pullman. Non avevo pensato che le partenze non avvengono davanti alla Stazione ma su un lato del giardino prospiciente alla stessa. Parcheggio la macchina e perdo dei tempo prezioso. Poi mi giro e vedo il pullman con i compagni avviarsi per la strada che va verso Alba. Mi viene un accidente, non voglio rinunciare a quella gita, così risalgo velocemente in macchina e mi metto ad inseguire il pullman. Prima di riuscire a sorpassarlo e a farmi notare arrivo quasi ad Asti. Finalmente i compagni si fermano, parcheggio la mia macchinetta sotto un viadotto e mi unisco a loro, accolta da un caloroso applauso.

La gita a Bergamo, che mi piace moltissimo, con visita culturale della città fu allegra e interessante. L’incontro con le compagne affettuoso. A me rimane il ricordo di un certo stress e della mia stupidità.

Riuscirò mai ad essere più attenta?

Il quarantennale lo festeggiammo il 6 ottobre ‘92 a Cessole, in un ristorante specialissimo, che ci era stato raccomandato dal signorotto e buongustaio Gianni Magliano.

Prima, però, partecipammo alla Santa Messa che fu celebrata apposta per noi dal vescovo di Acqui nella Chiesa di Cessole, una costruzione stranissima che risale alla fine del 1700. Infatti, sfruttando il dislivello del terreno, l’architetto del tempo ha costruito in pratica due Chiese: quella superiore con una bella facciata e un piazzale antistante, e quella inferiore, che ha comunque un ingresso che si apre sulla statale. La costruzione, vista da fuori, si presenta assai alta e curiosa a chi la vede per la prima volta.

Roberto Rosati è il primo che, andando in pensione, ha pensato di offrire a tutta la sua classe un pranzo. Lo conoscevo già prima di allora, poiché Guido una volta aveva voluto invitarlo a casa nostra a Torino per festeggiare il suo ritorno in Piemonte. Lui aveva seguito, infatti, la carriera militare salendo tutta la gerarchia e diventando Generale.

Come tipo mi metteva un po’ di soggezione: non molto alto, viso regolare, di poche parole, spalle erette, portamento perfetto dovuto certamente alla sua professione. Tanto lui si presenta severo, tanto la moglie è affabile. Per capire Rosati bisogna frequentarlo un po’, perché in realtà è molto simpatico e spiritoso, le sue battute sono sempre piuttosto sarcastiche e salaci ed il suo spirito mordace. Non parla molto ma le sue parole lasciano sempre un segno.

Se gli incontri ufficiali si sono svolti regolarmente ogni cinque anni, quelli informali, dopo l’invito di Rosati, hanno avuto frequenza annuale e talvolta anche semestrale. I nostri raduni hanno però preso, ad un certo punto, una piega non solo gastronomica e godereccia, ma anche culturale.

Il nuovo corso è stato inaugurato da Guido e Irma Bodrato.

Una domenica fummo invitati tutti a Chieri, dove da anni risiedono. Hanno avuto quattro figli e ormai sono nonni di almeno sette od otto nipoti.

L’aperitivo è servito a casa loro, per il pranzo ci si reca in un simpatico ristorantino, ma per il dopo pranzo è prevista una visita culturale guidata della città. Chieri è splendida, una città medievale con un Duomo gotico ed un Battistero affrescato che merita di essere conosciuto.

Tutti fummo entusiasti della bella ed interessante giornata che ci era stata organizzata.

Dopo quella volta, tutti i nostri incontri hanno avuto un risvolto culturale.

Così fu per il pranzo del quarantacinquennio organizzato a Cherasco; ci fece da guida il professor Flavio Russo, una persona coltissima che abita proprio in quella cittadina. Andammo a visitare il Museo Adriani, uno splendido palazzo privato, poi donato al Comune, ricco di collezioni antiche e di reperti storici.

Il professore ci condusse quindi a visitare la sua bellissima casa, con orto e giardino interno, spiegandoci che con un sistema di irrigazione particolare di orti che garantivano la sopravvivenza, Cherasco si era difesa nel 1700 dalla peste che aveva decimato la popolazione delle altre città.

Il 7 giugno 1998 fummo invitati a casa di Ma e Cheto a Bra. Arrivarono anche Angelo Abbate Daga con la moglie che, per l’occasione, regalò agli ospiti una sua bella acquaforte. Dopo aver allevato due figli ed essersi occupata di parecchie zie anziane, Marilù ha finalmente ripreso la sua attività artistica.

Sui piatti, sistemati su vari tavoli apparecchiati in un ampia veranda, si trova un foglio piegato in due. All’interno, sulla facciata sinistra, c’è scritto:

‘Terza Liceo Classico 1952 - Benvenuti.
Siamo contenti che abbiate accettato il nostro invito in attesa di festeggiare il 50° della nostra terza liceo.
Il comitato, travolto da eccessivo entusiasmo, ha promesso un pranzo servito in guanti bianchi e posate d’argento all’ombra di alberi secolari.
Ci sono solo gli alberi secolari per un semplice pranzo ‘langarolo’, dopo un aperitivo in giardino, con il seguente menù:
Salsiccia cruda e salame cotto di Bra con melone
Vitello tonnato
Torte salate di carciofi ed erbette
Agnolotti al sugo di pomodoro
Arrosto di vitello con salsa di nocciole
Insalata verde
Crostata di frutta
Caffè
Vini Chardonnay delle Langhe
Dolcetto di Diano
Moscato d’Asti
Brut Gatinera.

Ho conservato questo foglio in ricordo di quella bella giornata.

Finimmo poi a conversare nel salotto di quella casa tanto bella ed accogliente e ad ammirare le fotografie scattate da Cheto e perfettamente ordinate in grandi album per gli splendidi nipoti. Infine, la classe si è recata in visita al Museo ‘Craveri’ di Bra, museo di scienze naturali a cui Gian Carlo Turco, divenuto primario d’ospedale, ma soprattutto studioso e scienziato, ha donato la sua collezione di coleotteri e di farfalle e tutti i reperti preistorici trovati nei suoi viaggi nel deserto del Tènèrè e in numerosi altri luoghi. Togliendo così dai cassetti di casa tutte quelle scatole e quegli oggetti e facendone oggetto di esposizione museale.

Il museo, così, ha di molto accresciuto la sua importanza e Gian Turco ne è divenuto il conservatore onorario per la sezione di preistoria.

La III Liceo 1952 è stata invitata a pranzo alla vigna di Laura e Gian Turco il 25 giugno 2000.

L’appuntamento, però, era stato fissato alle 11 in Via Mendicità, per permettere ai compagni di visitare il museo del giocattolo aperto quel giorno appositamente per noi.

E’ incredibile come in queste cittadine di provincia vi siano persone intelligenti e intraprendenti che riescono a creare dei musei piccoli, ma preziosi e interessanti.

È stato emozionante vedere radunati in bell’ordine e in ottimo stato dei giochi che da bambini avevamo usato anche noi e poi magari dimenticati.

Quindi, con un sano appetito e molta allegria ci siamo recati alla vigna.

La villetta, che sovrasta la parte scoscesa della collina con vigna e frutteto, ha di fronte un ampio spiazzo, dove crescono pini secolari. La costruzione è piuttosto curiosa, sicuramente ha avuto parecchi rimaneggiamenti, ma la parte più consistente è in stile neo gotico essendo dei primi anni del ‘900.

Per l’occasione, da Verona è venuta Clara Artusio, accompagnata da due bellissimi giovani, il figlio e la nuora, che si sono uniti con simpatia alla nostra compagnia.

Laura aveva apparecchiato parecchi tavoli e posato sulle panche dove ci siamo seduti delle splendide stoffe batik, comprate da lei e Gian nei loro numerosi viaggi in Oriente.

Il pranzo fu squisito, l’allegria tanta ed aumentava sempre più ad ogni bicchiere di vino.

Ci siamo accomiatati con un arrivederci, sicuri comunque di ritrovarci in occasione del cinquantennio.

Una domenica i compagni sono stati invitati da Giovanni Ferrero, il quale ha lasciato da poco il lavoro per raggiunti limiti di età. Ci siamo ritrovati a Belvedere Langhe dove ci aspettava il prof. Spirito Oderda per farci fare un giro turistico del paese, secondo la prassi ormai consolidata di unire l’utile al dilettevole. Ogni anno, qui, durante la Settimana Santa, organizzano una Passione Vivente e noi ne abbiamo percorso le varie tappe fino ad arrivare al Golgota, una collinetta su cui si ergono antichi ruderi di un castello e le tre croci della crocifissione con alla base torce e bracieri, insieme abbastanza impressionante e suggestivo.

E' stata aperta per noi anche la chiesa parrocchiale, per farci ammirare degli interessanti affreschi medioevali trovati nella volta della sacrestia, staccati e posti intorno all’abside.

Il pranzo, tra la generale solita allegria, si è svolto alla ‘Trattoria del Peso’ dove siamo stati ricevuti dal proprietario che ci ha offerto personalmente gli aperitivi. La cucina è stata eccellente, il cuoco sembra insegni alla Scuola Alberghiera di Mondovì. Dopo il pranzo, ci siamo radunati in una saletta dove il presidente G. B. Franco ha ragguagliato i compagni sul libro che uscirà in occasione del cinquantennio, creando un’aspettativa forse eccessiva.

Giancarlo Turco ha paragonato il libro al vestito di seta marrone di cui si parla nel racconto di Gandolin ‘La famiglia De Tappetti’. Tutto il racconto è imperniato su questo vestito e l’aspettativa che la protagonista lo indossi, ma per un motivo o per l’altro l’evento non succederà mai, con delusione del lettore. Sarà così anche per il libro? Da anni se ne parla, tutti desiderano leggerlo.

Saremo tutti delusi o avremo finalmente il piacere di averlo fra le mani?

Anche il presidente del comitato è andato in pensione, quantunque, essendo libero professionista, continui a lavorare alacremente; così, il 26 settembre 1999, si è sentito in dovere di invitare tutta la sua classe al Ristorante ‘Enotria’ di Alba. Il pranzo è stato preceduto dall’aperitivo servito sul terrazzo della nuova bella casa con giardino, poggiata sulle colline della città, gestita benissimo da Magda, che ha saputo mantenersi sempre giovane e carina e che negli anni si è trasformata, credo, in una delle donne più eleganti e sofisticate di Alba. Gianni Franco, che ormai è un affermato e famoso avvocato di Alba, dice che dopo il cinquantennio questi raduni non avverranno più.

Sappiamo tutti benissimo che questa splendida nostra avventura avrà un termine; alcuni purtroppo ci hanno già lasciato, ma io credo che, finché due di noi saranno in vita, si ritroveranno con allegria a ricordare e ripensare ai bei momenti trascorsi insieme.

Ciao, cari compagni.

Vi abbraccio con affetto.

Anna Guasco

"Lectio Magistralis" del Professor Vinassa fra Barolo e Barbaresco (la fanciulla in estasi è Anna Guasco).

Come curatore del sito internet, mi permetto una nota, da premettere a quanto dirà Roberto Rosati nella ‘voce fuori campo’ che segue. Avevo proposto - tardivamente - di intitolare il lungo racconto di Anna Guasco LA VOCE DELL’INNOCENZA. Chi la conosce, sa che veramente la sua non è finta ingenuità, ma sensibile immediatezza di espressione, fanciullesca meraviglia per tutto ciò che la circonda: gli stessi sentimenti che trasfonde nelle sue acqueforti, nei suoi disegni, nei suoi dipinti (basta visitare qualche sua mostra espositiva).

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