CARI AMICI

Ricordi lontani,
quando il tempo splendeva,
e, coi libri tra le mani,
s’andava al liceo in città,
via maestra a Bra.
Saluti, sorrisi, battute felici,
una dolce parola a una compagna di scuola,
chiome lucenti di giovanil colore,
un compito in classe da batticuore.

Poi l’ingresso ordinato,
il solito posto,
nella mente il sapere nascosto.
Chi l’esponeva nel laborioso mattino?
Oscuro destino.
Gli occhi puntati sull‘austera figura
in cattedra assisa,
che scorreva il registro
e un nome diceva con voce sicura.
Attimi brevi che sembravano eterni
e il cuor si liberava dall‘agitazione,
più incerta sembrando l‘astrusa lezione.
Trieste italiana!

E un giorno pensammo d’uscire all’aperto
con altri studenti a dir di concerto
che Trieste all‘Italia doveva tornare.
Uniti marciammo per le vie braidesi
e, al monumento ai Caduti,
di Bodrato le parole vibranti di patrio amore
sollevaron di tutti entusiastico ardore.

La scuola finita,
prese a correr la vita,
che d‘incanto tornava festosa
come al bel tempo passato
nelle tappe cui Franco, l’illustre avvocato,
invitava la classe riunita.
Ricordi lontani rivissuti ancora
nello splendor più tenue d‘un‘età diversa,
qualche ruga, qualche voce per sempre spenta.

S’approssima la sera, tranquilla e lenta.

Giuseppe Alessandria (Narzole, 28.09.2000)

La Signora Milano, MaVi Bonaudi, Pia Ciravegna, Ernesto Milano (che non dorme) e Guido II.

 

 

VOCE FUORI CAMPO

Non conoscevo Pepon poeta: lo sapevo pensatore, scrittore, censore forse...

Sono stato colto di sorpresa, ma la sua poesia è qui, un fatto inoppugnabile, palpabile.

Pepon è un compagno che - come rileverà Anna - non ha mai mancato gli appuntamenti con la classe.

E’ codesta, senza dubbio, un’espressione di fedeltà, di genuino attaccamento: non un ordinario atto di fede, uno cioè dei comportamenti propri di certi devoti che vanno a Messa le domeniche senza chiedersi il perché lo fanno e senza affrontare il sacro Rito con la dovuta compunzione.

Non dissociarsi da un gruppo d’amici che abbiano vissuto le medesime esperienze per un periodo di tre anni è mirabile virtù: significa avere superato i dissapori, le ragioni di dissenso, le incompatibilità lievitate nei cinquant’anni seguiti alla maturità e avere invece privilegiato l’armonia, la concordia; equivale ad avere rinunciato a qualcosa di proprio - sia pure amore - per un superiore interesse.

Pepon avverte il legame di gruppo, crede nell’amicizia, in quel sentimento che fu il vanto di Patroclo; e tale spirito serpeggia nei versi della poesia.

Pepon è una fra le persone più taciturne che io abbia mai incontrato sulla terra. Nemmeno nelle chiese ho assistito a tanto silenzio: c’è sempre qualcuno che apre bocca per intonare un salmo, per somministrare una predica o per domandare quante volte hai peccato.

Pepon non esorta, non ammonisce, non canta, non assolve, non condanna: è uomo pensoso, meditativo, schivo, tacito ma non chiuso. Pepon riferendosi, nella poesia, agli anni del liceo e della giovinezza - la medesima cosa - usa la gradevole espressione quando il tempo splendeva.

Un riservato accenno all’amore, nel verso una dolce parola a una compagna di scuola, ci avverte che il poeta, pure ergendosi sopra l’intera umanità con la possa della sua persona è timido. Chi sia quella compagna di scuola non ci è dato sapere: si tratta forse della donna ideale?

Compito in classe da batticuore: in queste parole si scopre un certo temperamento apprensivo, ansioso.

Oscuro destino: qui il terrore prende il sopravvento nella mente del poeta, dove si cela il sapere nascosto; ma dopo attimi brevi, ecco il cuor si libera dall’agitazione. E’ la fine di un piccolo incubo e non solo per Pepon: per tutti noi, che l’amiamo e soffriamo per lui.

S’approssima la sera, tranquilla e lenta.

 

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Ciascuno di noi studenti si creava degli eroi per poterli ammirare, temere, invidiare.

Tre di codesti prodotti della fantasia si chiamavano, nella mia mente in cerca di maturità Gian, Ferrer, Guido I: esseri ineffabili, irraggiungibili.

L’uno era da me invidiato per la supremazia nel campo arbitrale: se Era, per esempio, Atena, Afrodite e Ines avessero deciso di sfidarsi a duello avrebbero eletto giudice Gian, novello Alessandro.

(Eris getta una mela, come premio per la più bella, davanti alle dee Era, Atena e Afrodite; Zeus ordina a Ermes di condurre le dee da Alessandro, sull’Ida, perché vengano da lui giudicate. Ad Alessandro, le dee promettono doni: Era disse che se fosse stata scelta gli avrebbe dato il dominio del mondo, Atena, la vittoria nelle guerre, Afrodite le nozze con Elena. Lui sceglie Afrodite...).

Guido I era da me ammirato perché, se solo lo avesse voluto, avrebbe potuto costruire un intero componimento letterario usando parole a me misteriose, oscure e affatto incomprensibili: l’opera gli sarebbe comunque valso il dieci e un bacio della Cattedra.

Ora che sono grande lo comprendo, Guido I e mi rammarico (di che?).

Io ero, nel corso del triennio, distratto spesso da pensieri, da problemi personali; mi assentavo, allora, dalla classe pure restando presente in aula e perdevo il contatto con la realtà: mi sfuggivano dunque i passaggi più preziosi delle lezioni dei professori di storia, di filosofia, d’algebra...

Temevo, in quelle occasioni, la virtù portentosa di Ferrer il quale esprimeva in ogni istante massima concentrazione, attenzione, diligenza e scrupolosità.

Si sa che si teme ciò che non si conosce: smisi di aver timore di Ferrer quando, più tardi nella vita, studiai il potere micidiale dell’ordigno nucleare. Il timore s’è poi trasformato in una preoccupata, pensosa devozione. Ferrer era fonte, peraltro, di serie preoccupazioni anche per Nini: le vignette e le battute di questi sui quadernetti di quello lo rivelano chiaramente.

Roberto Rosati (il generale-segretario...) e la Signora Brunilde.

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