Roberto Rosati

DURANTE - 3^ parte

DOPO

Il periodo trascorso al liceo, come qualsiasi periodo fatato, è durato il tempo di una rosa.

A che è dovuto l'incantamento di quegli anni vissuti insieme?

Non certo ad eventi esterni, ma a vicende interne all'aula, dove trascorrevamo la gran parte della giornata e dell'anno.

Non certo al marinare la scuola il giorno della leva, per celebrare il mitico avvenimento con una gita in 'lambretta' a Savona e ritorno.

Alla spavalderia, con cui guardavamo al futuro che, dalla soglia dei nostri vent'anni, ci appariva già del tutto addomesticato; avremmo risolto i nostri problemi nel semplice modo suggerito da Ulisse nella grotta di Polifemo: accecando il mostro. Eppure, il mondo, non possedevamo il necessario per conquistarlo, ma solo il 'loro' sorriso.

Ai legami d'affetto profondo, più che fraterno, fra gruppi di genere diverso e d'ammirazione e stima - o di compassione e commiserazione - fra individui dello stesso gruppo. La ragione della solidità dei nostri legami era che, mentre ciascuno di noi riconosceva i propri difetti, si mostrava comprensivo e benevolo, o almeno appariva tale, verso gli altri.

Non certo alle sbornie prese dentro o fuori l'aula. Ero a Pollenzo, nella casa di Battista, con Nini, la notte di san Lorenzo: il getto che sprizzava dalle bottiglie di moscato sturate l'una dietro l'altra si confondeva con la scia delle stelle cadenti; per ciascuna di loro - bottiglia o stella? - esprimevo un desiderio... 'si realizzerà?'

Fu necessario attendere cinquant'anni per la risposta (sto ancora attendendo).

Non certo alla maturazione mentale, che pur doveva fermentare in noi: lui, per esempio - parlo di me - sta maturando solo ora, che è in quiescenza (ma

'... non ancora

Alla trista vecchiezza egli perdona.')

Non certo a campanilismo, nel senso d'appartenenza alla provincia granda (beh! anche Camillo Benso, diciamo, apparteneva. Che c'entra questo?).

Ma a quell'affinità che accomuna coloro che, quando s'incontrano, pare si conoscano da sempre: i compari di leva, i commensali di un pranzo nuziale - dove ci si dà del tu fin da subito, conoscenti e sconosciuti.

Siamo di fronte ad un incantesimo, simile a quello dei girasoli che aprono la corolla, all'alba, al disco dorato e s'inebriano della sua luce: il liceo come disco dorato.

Eravamo ebbri di tutte le fonti di luce, di vita, di colore, di tutti i dischi dorati, Inti, Ra, Huitzilopochtli, Mitra, Svarog; eravamo ebbri di speranza - vitam spes fovet - e d'ardire - audentes deus ipse iuvat.

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Sono trascorsi cinquant'anni e non abbiamo dimenticato il liceo; abbiamo debellato il detto 'lontano dagli occhi, lontano dal cuore'. E' stata un'impresa pregevole, perché le stesse opere del Perugino sono dimenticate quando, per le circostanze, siano sottratte alla vista della gente: il terremoto del 1997 distrusse, com'è noto, affreschi inestimabili e parte della struttura di Santa Maria degli Angeli; ma portò ad una scoperta. Con il crollo del soffitto della cappella della basilica, venne restituito ai mortali un affresco triangolare, raffigurante la Crocifissione, rimasto per secoli sotto strati di sporcizia e di fumo stearico. Il restauro ci ha rivelato un dipinto attribuito a Pietro Vannucci. Era stato fatto, in verità, cenno, dal Vasari, a tale affresco; ma lo storico d'arte non ne precisò la collocazione. Scomparso alla vista, cadde nell'oblio.5

Non il nostro liceo.

5Il passo è una mia libera traduzione dal TIME, Aug. 10, 1998, 4.

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Sono trascorsi cinquant'anni: in questo periodo abbiamo conseguito il baccellierato, conquistato il matrimonio, la cresima, abbiamo avuto mogli, figli, amanti, nipoti, e altri guai; ma non abbiamo dimenticato la vigorosa, fresca, vivace età.

E' stato un sogno il nostro triennio? o il sogno, quello vero, è venuto dopo, nei cinquant' anni che seguirono?

Abbiamo avuto, come il resto dell'umanità, un po' di bene e un po' di male:

'i beni e i mali
Manda dall'alto alternamente a ognuno
L'onnipossente Giove'.

Ciascuno ha una propria storia dietro le spalle.

Nini, l'unico angelo custode maschio della mia vita, l'ho abbandonato dopo l'esame di maturità - e con lui l'intera classe - per rispondere al richiamo delle armi.

Ho tradito il liceo? O non mi sono invece comportato come l'eroe, rimasto solo sul polveroso campo di battaglia?

'Solo rimase di Laerte il figlio...
a morir morte onorata...'.

Il Presidente del Comitato (tra il Segretario e Lalla Panero Turco) tiene la relazione.

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Gianni Magliano e Guido II.

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Sebbene scorga, in questa mia età matura, gli eventi della lontana giovinezza allo stesso modo in cui era possibile scorgere, in illo tempore, i labili segnali lanciati con fuochi di torre in torre

'tanto, ch'a pena il potea l'occhio tòrre'

l'andare a ritroso, con questi appunti, nel tempo, è stato come rivedere spezzoni di un bel film in bianco e nero:

'È passata la mia bella e con ella va il mio cuor.'

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Trascorsero come un sogno questi cinquant' anni.

La mattina della ricorrenza, Brunilde6 lo condurrà alla riunione, dove sarà celebrato il decimo lustro...

'il dorso avea per l'età grande in arco'.

Alle dodici, saremo tutti al ristorante; incontreremo i compagni cresciuti, alcuni fin troppo. Ci sarà sempre Lui...

'Quivi era un uom di molto tempo e senno'.

Quanti ne usciremo?

Non dal ristorante, ma dall'ineffabile storia della nostra vita.., senza troppo disagio.

6Brunilde è il nome vero della moglie di Roberto Rosati (nota del Presidente).

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Brindiamo, perché

'non puote a lungo
Viver l'uom di tristezza'.

Roberto Rosati

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F I N E

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VOCE FUORI CAMPO

Nino (Gianni) mi offre l’agio di trattare un argomento che mi sta a cuore: l’Olimpo.

Noi della terza Liceo ‘52 dovremmo optare per l’Olimpo nelle nostre scelte future, perché nell’Ade non si sta molto bene, mi consta; né meglio si vive nell’Inferno nostrano (basta ascoltare il Requiem in D minor K. 626 di Mozart per sentirsi accapponare la pelle al solo pensiero del Dies irae).

Per accedere all’Olimpo il Dies irae non è previsto; noi ci risparmieremmo, di conseguenza, almeno questo spavento.

Nell’Olimpo potremmo dissertare su argomenti classici, accompagnarci a dee e ninfe (le nostre femmine, ad Apollo) e nutrirci di nettare e ambrosia, prodotti ecologici.

Potremmo sottrarci agli strazi e ai lamenti dei dannati che scontano, nell’Inferno, le deplorevoli azioni compiute in vita e ai cherubici cantici che ogni giorno s’intonano in Paradiso e pare si protraggano per tutta l’eternità.

Non s’odono alti lai, sull’Olimpo (non vi si supera un certo decibel) né si favella di soggetti eterei o angelici: vi si tiene piuttosto un sano, pacato, libero conversare, come ho detto, su garbati argomenti di vivo interesse.

Possiamo, noi mortali liceali, sperare di andare all’Olimpo?

Nell’antichità, è vero, ci abitavano i soli Dei, ma i tempi sono cambiati.

Intanto, come ci è stato rivelato da Nino, ne hanno già occupato un bel po’ di parasanghe quadrate vuoi l’Assunta, vuoi i Faraoni d’Egitto; esiste, inoltre, il precedente di Ganimede (noi non dovremmo comunque pagare lo scotto imposto da Zeus al coppiere degli dei, di finire fra le Sue auguste coltri).

Perché non tentiamo la scalata all’Olimpo?

Saremmo citati nella Biblioteca d’Apollodoro d’Atene - dove sono raccolti tutti i miti - tra i primi terrestri dell’era volgare a compiere l’impresa.

Le nostre fronti sarebbero cinte d’alloro per avere noi dato un impulso alla lenta marcia dell’Umanità verso la redenzione dagli affanni e la conquista della felicità.

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Parla il Presidente

A portare contributi per la realizzazione del libro si sono offerti compagni e consorti che avevano ricordi o particolari esperienze da riferire.

Il libro procede con le testimonianze di Roberto, di Pepon, di Gian, di Ferrer, di Guido, di Rita e di Anna.

Con il brano che segue Roberto offre un compendio degli eventi del triennio beato, durante il quale il gruppo di studenti, divenuti amici e complici, lentamente maturava.

Alla penna di Roberto si devono anche - come detto - gli intermezzi ‘fuori campo’, che legano con labile filo le eleganti esibizioni letterarie dei suoi compagni di classe e di alcuni fra i coniugi2.

2Per non urtare la sensibilità classica dello speciale pubblico di lettori cui si rivolge, Roberto non ha sempre dichiarato ‘in loco’, con le note, la paternità dei versi citati. Egli protesta tuttavia che i versi non sono suoi, ma appartengono a volta a volta a Dante (Divina Commedia), Omero (Odissea, Iliade), Ovidio (Ars Amatoria), Boccaccio (Decameron), Euripide (Alcesti), D’Annunzio (L’Isotteo, La Chimera), Tolstoj (Anna Karenina), Voltaire (Candido), de Maupassant (Des Vers), Sacra Bibbia (Geremia, Giuditta) e Apollodoro (Biblioteca). Roberto è sempre a disposizione per ogni eventuale chiarimento in merito ai veri Proprietari dei versi non battezzati.

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I collegiali.

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