CHI VIVE SPERANDO... (Gennaio 2017)

      Siamo tornati nella normalità, cioè, col vecchio sistema di scegliere i ministri col manuale Cencelli, in modo da non scontentare le varie correnti dei partiti della maggioranza. Quindi, visto che dalla parte delle cooperative c'è il perito agrario Giuliano Poletti (che è l'uomo abbastanza giusto al posto abbastanza giusto, intendendosi di lavoro manuale, anche se poco amante dei cervelli, di cui augura la fuga all'estero), per bilanciare, avanti un sindacalista, la ministra Fedeli, che non risulta abbia dimestichezza coi problemi culturali della scuola.
      Sarà molto brava nel difendere le categorie della scuola, a cominciare dai bidelli, ma rimane qualche dubbio sulla competenza a valutare programmi, indirizzi, necessità culturali di fondo, criteri etici a cui informare l'attività scolastica. Stiamo passando un momento - che dura da troppo - in cui non ci si rende conto che la scuola non deve solo promuovere, ma far maturare i ragazzi come individui e come cittadini.
      Per la scuola, mala tempora currunt (stiamo vivendo brutti tempi; traduco per mia zia che non sa il latino), diceva Cicerone. Ed aggiungeva: sed pejora parantur (ma se ne preparano di peggiori; sempre per mia zia).
      Mi riferisco, in particolare, alla capacità ministeriale di non omogeneizzare. Penso, soprattutto, alle secondarie di secondo grado: istituti professionali, istituti tecnici, licei sono cose diverse, profondamente diverse. Sembra scontata, date le sue origini scolastiche, la propensione della ministra a curar soprattutto la formazione professionale e tecnica, dimenticando - o non sapendo - che il mondo del lavoro attuale, e ancor più quello futuro, richiede ai livelli medio-alti persone con capacità raziocinanti, con facilità di adattamento alle situazioni, con conoscenza profonda dei vari aspetti della vita, derivante dallo studio dei pensieri e degli avvenimenti attuali e passati.
      Diciamo chiaro ciò che si sussurra soltanto: creare persone-robot aiuta molto i datori di lavoro, ma impoverisce la classe con alta responsabilità in ogni campo di lavoro. Il lavoro tecnico è sempre più preda dell'informatica e della robottizzazione. Si sono modificati i Licei Scientifici e soprattutto Classici; si sono, soprattutto, ridotti gli studi che creano maturità interiore, indipendentemente dal lavoro che si farà. La drastica riduzione dell'insegnamento della filosofia (puah!, che roba inutile, dicono i moderni benpensanti...) porta ad avvicinare sempre più i Licei agli Istituti Tecnici, riducendo quella materia produttrice di alto pensiero e di alta formazione mentale.
      E' giusta l'operazione che si compie per gli indirizzi professionali e tecnici, per renderli adeguati al mondo pratico del lavoro, alla minor difficoltà nell'approdare ad un lavoro specifico, nel creare più soddisfazione in chi lavora e in chi dà lavoro. Ma sarebbe necessaria una netta distinzione per i due Licei: Classico e Scientifico. Sarà una nicchia, dove andranno coloro che sanno che cosa vogliono, che sono disposti ad affrontare difficoltà, che vogliono - infine - approdare a posti di responsabilità personale. Il bravo tornitore non sa fare il cuoco; il bravo dirigente d'azienda sa dirigere anche un ente pubblico o una casa editrice.
      Speriamo, speriamo. Non fasciamoci la testa prima di averla rotta, perché può darsi che la ministra sappia circondarsi di gente non lecchina, che conosca bene le necessità culturali di un settore del mondo scolastico.
      Speriamo di poter cantare (senza morire...).

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