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LE FOTO 654 E 655 (Marzo 2014)

Come è noto, i Savoia, a differenza dei ministri odierni, avevano le dimissioni facili. Dopo Carlo Felice, ora è la volta di Carlo Alberto, volontariamente in esilio nel 1849, dopo la "fatal Novara".
        Quello che pubblico non è un autografo, è il decreto originale emesso dal successore, il figlio Vittorio Emanuele II, per annunciare l'avvenuta successione dopo l'abdicazione del padre.
        Al momento, non ho documenti degli altri due dimissionari, Vittorio Emanuele III ed Umberto II, se non l'autografo di Umberto, pubblicato due mesi fa. In particolare, Umberto II andò volontariamente ad Oporto, per evitare disordini di piazza, visto che il referendum aveva dato più voti alla repubblica, lasciando, però, molti dubbi sul raggiungimento del quorum previsto dalla legge istitutiva. Infatti, la Corte di Cassazione, competente a promulgarne il risultato, dapprima pubblicò i voti senza proclamare la vittoria della repubblica, poi, parecchi giorni dopo, ne proclamò la vittoria con una interpretazione che, in diritto, convinse pochi, anche se di fatto era la cosa migliore per evitare spargimento di sangue, come comprese subito Umberto II, che se n'era già andato volontariamente da una settimana.
        In verità, la legge prevedeva la vittoria della repubblica se i sì fossero stati "la maggioranza dei votanti". Ora, per "maggioranza dei votanti" si intenderebbe la maggioranza di quanti abbiano votato, qualunque scheda abbiano deposto nell'urna. Per proclamare la vittoria della repubblica sarebbe stata più appropriata la formula "la maggioranza dei voti validamente espressi". Ma ci pensò il re di maggio.
        Il decreto è su foglio grande, il che mi costringe a dividerlo in due. Bisogna leggere prima le due colonne di sinistra e poi quelle di destra. Per chi conosce l'inglese e il tedesco (io nemmeno quelli...) ma non il francese, c'è una mia traduzione alla buona.

foto n. 654


foto n. 655

VITTORIO EMANUELE II
RE DI SARDEGNA, ECC. ECC. ECC.

Ai Popoli del Regno

Riprendendo, con l'esercizio dei miei doveri, la trattazione degli affari che ho dovuto affidare a S.A. R. il duca di Genova durante la malattia che ho subìto, mi sento pieno di gratitudine verso la Provvidenza che, dandomi un fratello, mi ha gentilmente dato allo stesso tempo, un amico che mi poté sostituire nell'azione e nei consigli.
        Sono anche lieto di ringraziare in questa occasione coloro che, facendo voti perché Dio mi desse la salute e la forza, hanno saputo, indovinando i miei pensieri, capire il più grande dei miei desideri, quello di consacrare al bene di tutti questa vita di cui essi hanno ottenuto per me la conservazione.
        Ma se è mio dovere esprimere la mia gratitudine per le dimostrazioni fatte a me personalmente, una circostanza molto più triste e più grave mi impone l'obbligo d'indirizzare parole di affetto a coloro che, nel dolore di cui sono investiti lo Stato e la mia casa, hanno per un un sentimento spontaneo e unanime unito i loro voti in un unico dolore.
        Durante questi giorni di tristezza e ansia che l'allontanamento rende ancora più dolorosi, un pensiero mi sostiene, pensiero che sarebbe anche la consolazione del Re CARLO ALBERTO, di mio Padre, se gli è dato di partecipare.
        S. A. il PRINCIPE DI CARIGNANO, a quest'ora arrivato a Oporto, saprà dirgli ciò che hanno manifestato per lui quelli per i quali voleva ottenere una vera libertà ed una gloriosa indipendenza; in mezzo a tante avverse sorti, avrà almeno la consolazione di sapere che tutte le sue speranze non sono state deluse, tutti i suoi sacrifici non sono stati sterili.
        Per fecondare i semi che la sua mano ha sparsi, e al fine di rendere duratura la buona azione, la Provvidenza mi ha chiamato al Trono in tempi e circostanze in cui regnare mi è sembrato, ed è, per me una vera disgrazia, ma confido fermamente che non sarà una disgrazia per lo Stato, se Dio concede un aiuto ad un cuore retto, ad una volontà ardente e attiva.
        Conosco il mio dovere e gli esempi che devo seguire, e grazie a Dio mi sento abbastanza coraggio da accettare il fardello, ma sento anche che fallirei in questo compito se, invece di sostegno, trovassi ostacoli e se questo Popolo, senza il cui concorso delle libere istituzioni non potrebbero sostenersi, intralciasse esso lo sviluppo e rendesse impossibile l'impresa. È a lui che rivolgo queste parole sincere come deve fare per farsi capire un Re leale e come le deve capire un Popolo libero.
        Ogni uomo obbediente alla ragione e non alle passioni, volgendo gli occhi sullo stato politico dell'Europa sa capire il futuro, capire che le mie parole sono serie e toccano delle realtà su cui è importante riflettere seriamente; comprenderà anche che il pronunciarle è il risultato di un cuore che non si preoccupa di sè ma dell'interesse generale.
        Al contrario, coloro a cui la passione chiude gli occhi sulle dure ma inevitabili verità, coloro che nutrono desideri e pensieri impossibili da raggiungere, quelli che, diciamo la parola, si dichiarano i miei nemici, ho la convinzione di riuscire a trasformarli in amici mostrando attraverso le mie azioni ciò che sono veramente e a quali calunnie fui esposto; essi lo comprenderanno facilmente, se sono nemici leali; se non sono tali io saprò amarli e perdonarli ugalmente, sempreché rispettino e non infrangano le leggi e le istituzioni stabilite dal Re CARLO ALBERTO e che ho giurato di difendere e mantenere.
        Le nostre libere istituzioni hanno nemici di ogni genere, e si possono distruggere in più modi, ma anche i più gravi pericoli possono trovare una difesa sicura e potente nella volontà e nel senso comune della nazione.
        Il Paese ha dato e darà ulteriori prove di questa fermezza e del senso pratico che sono il carattere distintivo dei suoi abitanti. Ed è venuto il tempo di fare uso di queste qualità preziose.
        L'Europa, minacciata nella sua esistenza sociale, è costretta a scegliere tra questa esistenza e la libertà. L'una e l'altra potrebbero senza dubbio non solo esistere simultaneamente, ma addirittura prestarsi aiuto reciproco, se gli uomini pensassero con più moderazione e agissero con più dignità, ma ciò purtroppo è molto raro.
        Costretti a scegliere tra l'esistenza della società e la libertà, Popoli e Governi non esitano. Volgendo i nostri occhi intorno a noi, vediamo numerosi esempi. Da ogni parte si vede la società scossa anche nelle sue fondamenta per gli eccessi di libertà, gettarsi spaventata in braccio a chi può salvarla col rischio di sacrificare i vantaggi di una vera e onesta libertà.
        Dipende da voi, dal vostro buon senso, il preservarvi da questi estremi, il non rendere impossibile la libertà ed impraticabile lo Statuto. Dipende da voi rafforzare le istituzioni istituite da Re CARLO ALBERTO e l'esaudire i suoi voti; se vi sentite legati a lui da riconoscenza, siate sicuri che non potete fargli dono di una testimonianza più gradita e nello stesso tempo più degna di voi e di lui.
        I sistemi politici, le costituzioni, gli statuti non sono affatto sviluppati e adattati ai bisogni reali della gente con un semplice decreto di promulgazione, ma dalla saggezza che li corregge e dal tempo che li matura; questo lavoro, da cui dipende interamente la potenza e la felicità di uno Stato, è compiuto dall'azione incessante, dalla riflessione e dalla ragione e non dallo scontro delle passioni; si realizza gradualmente progredendo nei modi possibili e non in quei modi sconsiderati che l'esperienza dei secoli ha rivelato impraticabili.
        Una pace, che non potrà che essere onorevole e degna di noi, permetterà, spero, alla saggezza del popolo e dei legislatori di riparare i rovesci della sorte ponendo questo Regno tra gli Stati liberi e civili.
        La mia casa, da tanti unita ai destini del Paese, di cui ha sempre condiviso e dolori e gioie, è ora, grazie al Re CARLO ALBERTO, unita con un nuovo legame a questa nobile parte d'Italia. Il mio unico desiderio, l'unico scopo delle mie parole è rendere questo legame indissolubile e attraverso di lui ripristinare la forza, la dignità e la prosperità dello Stato. Con l'aiuto di Dio ed il leale ed energico sostegno della Nazione, la mia promessa non sarà vana e non sarò ingannato nella speranza che ho in un futuro che cancellerà il ricordo delle catastrofi che abbiamo vissuto.
        Allora il Re CARLO ALBERTO, che il Cielo si degnerà di conservarci per le nostre ardenti ed unanimi preghiere, potrà, anche se lontano, compiacersi col nobile pensiero di aver fondato la sua gloria su queste basi, le uniche degne di un grande principe, sulla felicità del suo popolo, fornito da istituzioni libere e rispettate.

Dato al Castello Reale di Moncalieri il 3 Luglio 1849 .

VICTOR-EMMANUEL

D'AZEGLIO

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