LE FOTO DA 547 A 551 (Dicembre 2011)

LE FOTO DA 547 A 551 (Dicembre 2011)

547) - 1939 - Mio suocero era del 1910, quando fun chiamato alle armi nel 1931, fu messo in Fanteria e, come universitario, fu subito inquadrato negli ufficiali di complemento.

     Non era nemmeno cacciatore, non amava le armi, non alzava mai il naso dai libri di latino e di greco. Poi, nel 1939, fu richiamato e spedito in Africa.

     Sul retro della foto c'è scritto: "Sul piroscafo per Bengasi - Sett. '39". E' il primo a destra, con due colleghi.

     Ci sarà qualche figlio o nipote dei due colleghi che riuscirà ad identificarli?

 

548) - 1939 – In Africa (non c’era ancora la guerra) era di stanza a Martuba, l’aeroporto di Derna.

     Una foto dell’accampamento, con tavolo su cui si mangiava, si scriveva, eccetera.

     Sul retro della foto c’è semplicemente scritto: “Martuba ottobre 1939” più un piccolo scarabocchio volutamente illeggibile, che doveva indicare l’anno (XVII?) dell’era fascista. Era un fiero mazziniano e si rifiutava di riconoscere il regime di allora. Ma, come ufficiale, sia pure di complemento, doveva usare cautela...

     Poi, quando iniziò la guerra, mise anche l’anno dell’era fascista (come si vedrà nelle foto seguenti), per non aumentare le preoccupazioni. Era già in apprensione per la moglie ebrea ed i figli piccoli.

549) - 1941 – Intanto, era scoppiata la guerra e, dall’Africa, fu spostato in Jugoslavia.

     La foto porta la scritta: “Podgorica, 1 Giugno 1941 XIX. Con la speranza di mandare presto alla mia Irma (la moglie, fra l’altro, ebrea) e ai miei bambini (ne aveva due ed il terzo in arrivo) qualcosa di meglio. Roberto”.

550) – 1941 – Fu spostato al forte Brajci, al confine tra la Serbia e il Montenegro.

     Sul retro della foto c’è la scritta:”A Brajci – 7-XI-1941 – XX”.

     E’ il primo a destra, colla custodia della macchina fotografica in mano.

     E gli altri? Spero sempre che qualche figlio o nipote li identifichi.

551) 1941 – Ancora in Jugoslavia, a Brajci.

     Sul retro, la scritta dice:”Forte di Brajci – 7-XI-1941 – XX”.

     Quello era il forte che dovevano difendere.

     Dalla guerra in Jugoslavia portò a casa (e prima di morire mi regalò) una di quelle pipe serbe, lunghe un metro e tutte intarsiate.     

     Dopo alcuni attentati alle nostre truppe, fu incaricato di cercare eventuali partigiani nascosti o, comunque, giovani non presentatisi all’autorità italiana, come indicato nel bando. In una casa di campagna, mentre i subalterni perquisivano, entrò nella stalla e, dietro dei legni, scoprì un ragazzotto, molto giovane, terrorizzato, come impietrita era la madre, che aveva seguito mio suocero. Non aveva proprio l’aria di un sovversivo pericoloso; fece finta di non vederlo ed uscì, dicendo ai soldati che nella stalla aveva guardato lui. Partiti, dopo cinquanta metri, lo raggiunse la madre che, in un impeto di gioia, gli volle regalare quella pipa.

     Fu molto imbarazzato, perché la cosa stupì qualche soldato, che ne parlò nell’accampamento. Fu chiamato dal capitano, suo superiore, a dar spiegazioni e dovette inventarsi, su due piedi, una tresca con la vecchietta imbacuccata. Si prese una ramanzina, perché non si deve dar confidenza ai civili di un Paese occupato.

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