(sonoro)

MADE IN TAIWAN

Da bambino credevo che Taiwan fosse una sorta di Paese dei Balocchi, un posto meraviglioso creato per la gioia dei più piccoli. Un mito della mia infanzia che ha resistito anche alla morte di Babbo Natale, un nome evocativo che assumeva i contorni della garanzia assoluta: come era ormai appurato che i grandi robot destinati a salvare l’umanità dalle invasioni aliene sarebbero arrivati dal Giappone, così pareva evidente che quell’isoletta situata chissà dove era stata concepita come una sorta di Città del Sole per ragazzini. Non c’era giocattolo, articolo sportivo o altro attrezzo adibito al divertimento di un minorenne che non recasse, da qualche parte, il magico marchio: made in Taiwan.

Col tempo, prestando sempre più attenzione ai discorsi degli adulti, ebbi l’amara sorpresa che, per motivi inaccessibili alle modeste doti mentali di un bambino, quella scritta non solo non indicava un rutilante mondo pieno di inutili cose belle, bensì pareva essere una sprezzante sfida al nostro amato paese. I genitori prendevano i nostri giocattoli, i nostri palloni, le nostre scarpe multicolori, le guardavano con una smorfia tra l’irato e il rassegnato, mormoravano: "fatti a Taiwan" e non sembravano essere felici. Poi si allontanavano borbottando oscuri presagi sull’economia di una nazione per la quale costa meno importare eccetera.

Un considerevole numero di anni dopo, la mia idea su Taiwan è radicalmente mutata, anche se devo riconoscere come la mia forma mentale sia irrimediabilmente deformata dalle pregiudiziali categorie occidentali. Così, come spediscono mio fratello missionario proprio a Taipei, un'equazione immediata si crea nel mio cervello scarsamente fantasioso portandolo a questa conclusione: a Taiwan sono poveri. Infatti, per un malinteso senso della missione, associo immediatamente la presenza dei volenterosi sacerdoti italici a torme di bambini macilenti che muoiono di fame (il che dimostra come avesse visto tristemente giusto il teologo protestante Moltmann nell'avvertire del rischio che il cristianesimo stia diventando una sorta di "culto della fratellanza umana", basato più sulla filantropia che sul messaggio dell'incarnazione).

La foto: Chi ha detto che usare i bastoncini è difficile?

Mi tolgo definitivamente ogni dubbio andando a trovare quella sorta di cattolico errante che è diventato mio fratello da quando è stato ordinato salesiano. Arrivo a Taipei con un encomiabile e fremente desiderio di farmi turbare la coscienza dalla vista di un inenarrabile degrado. Invece, i bambini che vedo nell'asilo di Michele sono paffuti mocciosi schierati in uniforme pronti ad accogliere il nuovo giorno con l'inno nazionale; i palazzi sono per lo più vertiginosi grattacieli collocati secondo i criteri della geomanzia; le strade un fiume continuo di taxi da fare invidia a Manhattan. Un'uscita serale ci proietta in uno scenario fatto di enormi schermi pubblicitari, luci, traffico, tecnologia che fende con le sue luci la pioggia tiepida: aspetto di incontrare Harrison Ford per convincermi di essere sul set di Blade Runner. Solo che quella era fantascienza. Questa è la realtà.

Nella missione di mio fratello hanno l’aria condizionata in ogni stanza, Internet, televisione satellitare. Facile fare il missionario così, mi dicono, con una certa malizia, alcuni amici quando racconto quello che ho visto.

Può darsi.

Però ricordo un’esperienza simile fatta in Africa, dove i bambini erano veramente poveri. Ma così poveri che pur di mangiare si convertivano al cristianesimo o a quello che volevate, a condizione di essere aiutati. E le chiese erano sempre piene. Oppure penso al Sud America, dove c’è altrettanta povertà ma la gente è cattolica al 98%. Per cui Io sfiancante lavoro del missionario può permettersi di saltare tutta la fase dell’evangelizzazione.

A Taiwan fanno festa se riescono a convertire una persona all’anno. In chiesa ci sono quasi esclusivamente filippini. E dall’Italia solo i parenti pensano a quei "missionari fortunati in un paese ricco".

Antonio Ferrero, fratello di don Michele

La foto: Si, ma a me piace il cioccolato svizzero

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