Don Vincenzo Visca fu Viceparroco (noi dicevamo Curato) a Novello dal 1958 alla fine del 1960, prima di andare Parroco a Cortemilia. E’ uomo ottantaseinenne, pieno di saggezza (fra l’altro, ottimo conoscitore del Corano) e di cuore; lo conosco da decenni, come Parroco che ha sempre guidato, e guida, il suo gregge con mitezza, affabilità e competenza.
Ora, alla sua età, è il classico parroco di campagna pieno di fede ed attivissimo, il tipo che io ho sempre visto bene come Vescovo, ma mancante di una dote indispensabile: l’arte di dire un po’ di verità, ma solo un po’, per non turbare l’establishment curiale. Lui lo sa, ma non viene meno ai suoi principi. Ama le persone umili e sincere e questo lo indusse a scrivere (compone anche poesie…) la vita ecclesiastica di un Novellese come me, don Marziano Abbona della Fasana, che molti di noi hanno conosciuto. In due puntate, presento l’immagine che don Visca ne fece sul
suo bollettino parrocchiale; spero di rinvigorire il ricordo di don Marziano nei Novellesi ed in quanti lo conobbero.
"""""Ne parlo soprattutto perché è stato parroco per 17 anni a Scaletta, ma anche per un mio personale e, spero, anche evangelico puntiglio.
Don Abbona ha fatto parte della immensa, sottostimata e sovente derisa e calpestata schiera degli ultimi. Nella nostra società, che ha ben poco di cristiano, imperversano categcrie, caste, corporazioni, che signoreggiano, comandano, impongono e si impadroniscono di tutti i privilegi e di tutte le soddisfazioni, che l’animale uomo possa sognare.
Queste pagane categorie occupano tutte le vetrine della TV e tutte le pagine dei giornali e delle riviste. Sono i moderni e spocchiosi idoli. Idoli bacati, idoli ridicoli, idoli meschini, ma... idoli. Davanti a loro tutti stanno rispettosamente in ginocchio, E....guai a toccarli! Guai a parlarne male! Chi li irride o condanna commette gravissimo peccato di blasfemia.
Si chiamava Marziano, ma di marziano aveva proprio nulla. Era un povero prete. Un povero parroco. Un povero Figlio di Dio. Una povera creatura umana. Non peccava assolutamente di autostima. Sapeva ed era convinto di appartenere assolutamente alla disprezzata categoria degli Ultimi. Alla vasta categoria di coloro che vivono, ma nessuno li vede, parlano, ma nessuno li ascolta, sanno, ma nessuno li interpella, pensano, ma il loro pensare resta inutilizzato e sepolto nella loro conclamata pochezza.
Solo Cristo li ama. Solo Cristo li cerca. Solo Cristo li ascolta. Solo Cristo sta decisamente dalla loro parte e li accompagna, li benedice e prepara per loro, solo per loro, i primi posti in Cielo.
Alla sua nascita, non so per quale motivo, i suoi genitori gli imposero il prestigioso nome “marziano”! Non so se è mai esistito un santo di nome “marziano" ma so che don Abbona aveva ben poco di marziano. Era umile, umile , umile. Aveva piena coscienza dei suoi limiti intellettivi e, quando parlava, aveva come intercalare piuttosto frequente la parola "dima" (diciamo). Espressione che evidenziava il suo innato bisogno di trovare appoggio, condivisione e sostegno negli altri.
Solo il Vangelo, la parola di Cristo, gli dava assoluta sicurezza.
Quando a 33 anni, nel 1950, il Vescovo lo mandò parroco a Scaletta, don Marziano chinò la testa ed ubbidì. Non aveva e non vedeva alternative. Per lui l'ubbidienza al Vescovo, mons. Carlo Stoppa, era sacra, doverosa, evangelica.
Scaletta allora, servita da strade disagevoli e rozzamente inghiaiate e imprigionata in una valle coperta di boschi ed inturgidita di umidi ritani, non era certamente una parrocchia appetibile e gratifcante.
ll Beneficio Parrocchiale era poca cosa. Poche "giornate" di terreno, coltivate da alcune famiglie di umili contadini, cariche di figli. E la Congrua Congrua, piuttosto
striminzita, poteva a malapena garantire un tozzo di pane quotidiano.
Le prospettive non erano invitanti, anche se, allora, i quasi 600 abitanti, che vivevano poveramente nelle varie borgate o nel gruppo di case attorno alla chiesa, erano nella stragrande maggioranza cristiani convinti, praticanti e tenacemente radicati nella indistruttibile e commovente fede dei loro vecchi.
Don Leone Francesco, dopo 7 anni vissuti a Scaletta come parroco, dal 1943 al 1949, aveva lasciato, senza troppi rimpianti, la valle Uzzone per andare a Magliano Alfieri, una accogliente Comunità, a pochi chilometri da Alba. Per il carissimo don Marziano quindi il futuro non si presentava affatto roseo, ma tendeva piuttosto a scolorirsi in un vago, incerto grigiore.
Sul ponte, che scavalca il ritano Veròsola ed immette nell’abitato di Scaletta, era stato allestito un accogliente arco fasciato e coperto da verde edera rampicante.
Era l’ultima Domenica di Novembre, quando don Abbona fece il suo ingresso.
Nel primo pomeriggio don Abbona giunse da Novello, dove era nato e dove abitava la sua famiglia, trasportato da una delle poche, lussuose macchine di allora.
Ad attenderlo c'era il Sindaco, il signor Pregliasco Domenico, papà del nostro caro parrocchiano Elio, anche lui, anni dopo, stimato sindaco. Il discorso glielo fece l'indimenticabile maestro Branda, forse l'unico “letterato“ del posto, e l’unico capace quindi di dare voce ai sentimenti, che crescevano nel cuore della massa di fedeli, che l'attendevano.
In prima linea c’erano tutti i Sacerdoti della Vicaria di san Pantaleo di Cortemilia guidati da don Sampò, il Maresciallo dei Carabinieri di Cortemilia, gli Amministratori Comunali ed una viva, curiosa, abbondante e fervente folla di fedeli.
Il nuovo Parroco aveva 33 anni. Un aspetto umile, schivo, disarmante.
Quando si trovò in Chiesa , nella sua Chiesa, e si vide assediato, quasi sepolto da una straripante massa di fedeli in ansiosa attesa della sua persona e della sua parola, don Marziano si sentì un povero naufrago, sballottato in un mare in burrasca.
La tradizionale liturgia dell’lnsediamento si dipanava in un silenzio greve e solenne, ma Lui si sentiva ohiuso, quasi schiacciato nel·suo responsabile ruolo di Pastore di anime. Sarebbe stato un buon Padre per tutti quei suoi cari parrocchiani? Di una sola cosa era pienamente consapevole: aveva nel cuore una gran voglia di servire e farsi voler bene!
Don Abbona, magrolino, allampanato, vestito di una scolorita talare, dava l'ìmpressione di essere un anonimo, sprovveduto parroco di campagna, incapace di decisioni largamente innovative, ma aveva un cuore grande ed una incontenibile voglia di stare in mezzo alla sua gente e portarla a Cristo.
Era arrivato da poco tempo a Scaletta, ma si era subito reso conto che la Canonica aveva urgente bisogno di restauri, affatto marginali. Ma dove trovare i soldi?
La Congrua era una miseria, il Beneficio Parrocchiale era poca cosa e le tasche dei suoi parrocchiani eran vuote o... quasi.
ll futuro non era affatto roseo. Avrebbe dovuto sudare le proverbiali sette camicie per iniziare e portare avanti lavori, che urgevano, ma esigevano stanziamenti piuttosto pesanti.
La Canonica era piuttosto malandata, ma don Abbona sapeva accontentarsi. Non aveva fretta. Non pretendeva una casa signorile, baronale. Una vecchia cucina, un modesto studiolo, due anguste camere da letto, con pavimenti consunti, un saloncino malmesso e scarsamente illuminato e, nell'orto accanto, una conigliera ed un pollaio, desolatamente semvuoti. Nient’altro.
Come Perpetua; aveva una simpatica signorina , molto più anziana di lui, nativa del posto, affidabile, generosa, devota, disposta a qualsiasi sacrificio, ma anche piuttosto strana. Di tanto in tanto pativa misteriose visioni. Vedeva i “traghéti“ (spiriti fiabeschi, che volteggiavano nell’ aria e precpitavano poi drammaticamente a terra) e lei li indicava con la mano e li accompagnava nella loro rovinosa caduta.
Si chiamava Beltramo Marcellina Carolina, ma per tutti era semplicemente Carùla
Don Abbona la rispettava, la onorava e quando venne promosso ,nel ’67, alla più apparentemente appetibile parrocchia di Grinzane Cavour, se la portò, ormai vecchia e praticamente inabile, nella nuova, accogliente canonica.
E quando Carùla cessò di vivere, dopo brevissima malattia, a pochi mesi dal suo arrivo a Grinzane, lui, dopo la sofferta Funzione funebre, accompagnò la venerata salma
nel Camposanto di Scaletta. Era il 30 novembre del 1967!
La frazione di Valle faceva parte allora, come adesso, della Parrocchia di Gottasecca, ma la strada, che la collegava al Capoluogo appollaiato sull’alta, boscosa colllina, era un impraticabile sterrato percorso carraio, con impercorribili pendenze e strettoie, dove a stento poteva passare un carro, trainato da una forzuta coppia di buoi.
Quando pioveva o nevicava, l’arrampicata diventava proibitiva. Soltanto a Natale, a Pasqua, al Giorno dei morti, o nel caso di una Sepoltura, le numerose famiglie di Valle, scalavano a piedi la disastrata salita.
Abitualmente, tutte le Domeniche, i devoti borghigiani scendevano a Scaletta per la s. Messa.
La strada di fondovalle non era allora una comoda carreggiata. Una ghiaia grossolana e sparsa malamente sul manto stradale la rendeva un interminabile cilicio, per chi si metteva in cammino. O a piedi, o in bicicletta!
C’era sì in Valle una venerata, modesta Cappella, annessa al vecchio Casolare di Baldi Enrico, papà della Lidia, ma non poteva accogliere la celebrazione di una s. Messa.
Dinnanzi a questa amatissima Cappelletta, tutti gli anni, soprattutto nel mese di maggio, i valligiani si radunavano alla sera e sgranavano con intima gioia la corona del santo Rosario. Erano sinceramente innamorati di Cristo e della Sua santa Madre! Però tutti , proprio tutti , sognavano una Chiesetta.
Una Chiesetta accanto ed in mezzo alle loro case, costruite in grossolana pietra di Langa, sulle quali scendessero, almeno alla Domenica, i rintocchi benedetti di una campana, che facesse sentire la benedicente presenza di Cristo; una Chiesa dove radunarsi tutte le Domeniche per la s. Messa.
Questa frase lapidaria deve averla pronunciata il famosissimo Vittorio Alfieri di Asti, circa 250 anni fa, ma l'hanno pensata e fatta propria tutti i borghigiani
di Valle. Volevano la loro Chiesa!
Costituirono un Comitato, contattarono mons. Michele Sampò, vicario foraneo di s. Pantaleo di Cortemilia, ed arrivarono al Vescovo di Alba.
Ed a don Abbona toccò I’arduo compito di caricarsi sulle spalle tutti i problemi organizzativi e pratici, per dare al più presto inizio ai lavori.
Tutte le famiglie della borgata offrirono e promisero il loro generoso e sudato contributo ed anche alcuni amici di Castelletto e di Scaletta, coinvolti dall’ambizioso progetto, portarono la loro fraterna offerta.
Era il 30 luglio dell’anno del Signore 1950, quando giunse da Alba il Vescovo, mons. Carloe Stoppa, e benedisse la Prima Pietra ”circondato da tutto il popolo festante"
Il terreno occupato dalla erigenda chiesa era stato offerto da alcune famiglie.... confinanti. Valle visse una giornata memorabile. Mai vista tanta folla in quell'ombroso angolo di Langa. Unico assente, ma forse aveva i suoi comprensibili motivi, il Parroco di Gottasecca, don Giorio Antonio, arciprete. Un caro amico di mio papà, Guglielmo. Un sacerdote che conosceva la fatica, il sudore, la stanchezza ed anche una malinconica solitudine.
La mancanza però dell'umile lavoratore, don Antonio, non turbò l'euforica allegria di quella moltitudine in festa.
(continua)