bella 145

ACCADEVA 100 ANNI FA... (Aprile 2019)

      Le guerre hanno sempre uno strascico di guai, sia per i cinti sia per i vincitori.

      Da LA STAMPA del 15 Aprile 1919

LA TRAGEDIA DI DRESDA

       “Il Ministro della Guerra Sassone Meuring è stato ucciso dalla folla. Esso fu trascinato dal terzo piano del Ministero della Guerra, ove si era rifugiato, e dopo averlo ferito colla pistola, fu buttato nell’Elba.
      Egli non era, nelle sue origini, che un modesto operaio industriale; autodidatta come i due terzi delle personalità direttive oggi al potere nell’Impero e nei vari stati germanici. Ci fu un assalto di rivoltosi ed un soldato, preso dal panico, lanciò per primo una granata. Anche la folla era armata, non solo di pistole ma anche di mitragliatrici ed i soldati incaricati della protezione dell’edificio non si batterono e si lasciarono disarmare; fatto questo sulla cui importanza è superfluo scrivere altro”.

      In Germania, le rivolte sono sempre più violente ed anche i militari non danno più sicurezza; si prepara un terreno fertile per una dittatura. Come si vede, quelli che protestano - che a volte si definiscono scioperanti - sono armati non solo di forconi, ma di mitragliatrici.

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      Da LA STAMPA del 15 Aprile 1919

Comizio degli operai metallurgici al Parco Michelotti (TO)

      “Gli operai metallurgici, sospesi in conseguenza dello sciopero dei capi tecnici, si sono nuovamente riuniti al Parco Michelotti, in ordinato comizio. Scaravelli ….. ha accennato agli incidenti di domenica scorsa a Milano, rilevando che le masse operaie torinesi non raccoglieranno alcuna provocazione, ma attenderanno per le loro battaglie il tempo che sarà ritenuto più opportuno.”

      Anche in Italia comincia l’agitazione. Il 23 Febbraio, da poco passato, Mussolini a Milano ha fondato i Fasci di Combattimento e le sinistre non vogliono essere da meno. Mala tempora currunt…

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      Da LA STAMPA del 2 Aprile 1919

“La Romania minacciata dall’esercito sovietico – La ritirata delle forze ucraine”.

      Pubblico solo il titolo, perché l’articolo è prolisso e militarmente tecnico. Si rileva l’ingordigia russa, che, dopo l’avvento del bolscevismo al potere, tende a sottomettere gli stati confinanti. Con la Romania non ci riuscirà subito, ma con l’Ucraina sì.

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      Da LA STAMPA di Mercoledì 9 Aprile 1919

Un impiegato dell’Aviazione militare ucciso e fatto a pezzi – Il cadavere, smembrato, rinvenuto in un sacco nel canale della Pellerina

      “Ieri, verso sera, una raccapricciante scoperta metteva a rumore tutta via Don Bosco e regione finitima. Nel canale industriale della Pellerina, fu visto galleggiare un grosso involto, dall’apparenza di un sacco ripieno. Tre operai trassero a riva l’involto, avviato verso la griglia di macinazione dello stabilimento Girardi. Uno degli operai aprì il sacco e trasse il capo inorridito. Dall’apertura del sacco era stata intravista una testa umana! Accorsero le guardie subito chiamate e il sacco, esaminato meglio, si riscontrò che conteneva il troncone sanguinolento di un corpo umano di persona non più in giovane età. Mancava delle braccia e delle gambe. La disgraziata vittima doveva essere stata ridotta in quel modo per potere meglio essere insaccata e fatta sparire. I commissari interrogarono varie persone per identificare il morto. Le supposizioni dilagavano, quando si sparse la voce che il morto fosse certo Trossi, fratello dal Parroco di Mirafiori. Fu fatta ricerca dell’abitazione di questo Trossi e un ufficiale identificava la povera vittima appunto nel cinquantaseienne Pietro Trossi fu Giacinto, impiegato nell’Aviazione Militare e fratello del Parroco di Mirafiori.
      La scoperta del sacco contenente i resti del povero Trossi venne preceduta dal riivenimento pure nel limaccioso canale di un brano di carne ravvolta in un pezzo di mutande. Si sospettò si trattasse di carne andata a male e gettata via e quindi non ci si badò. La scoperta del cadavere ricondusse anche all’esame del pezzo suddetto di carne e si constatò trattarsi di carne umana tagliata indubbiamente da mano ferma, con un colpo netto, al di sopra della coscia.
      Il Pietro Trossi abitava da circa quattro anni in un alloggio di via Duchessa Jolanda colla moglie ed un figlio ventisettenne, ufficiale. La sua famiglia conduceva un treno di vita decoroso ma modesto. Il Trossi era regolatissimo nelle sue consuetudini; mai un giorno mancò dall’ufficio, mai ritardò a rincasare per l’ora dei pasti. Usciva al mattino, rincasava a mezzogiorno, tornava fuori all’una e per le 19,30 ora della cena si trovava sempre presente. Difficilmente usciva la sera.
      Lunedì verso le una e un quarto il Trossi salutò la moglie e il figlio ed uscì, per recarsi in via Saffi ad ordinare del burro in un negozio. Egli portava come al solito una busta di cuoio giallo sotto il braccio. Nella giornata il burro commissionato fu portato alla famiglia, ma il Trossi alle 14,30 non giunse all’ufficio ed alla sera all’ora della cena non si trovò in famiglia, ciò che suscitò gravissime apprensioni nei congiunti, i quali fecero inutilmente ricerche per tutto il pomeriggio. Verso le 21 comparirono a casa i funzionari con la ferale notizia.
      Quanto al movente del delitto, la Polizia mantiene un rigoroso riserbo. Sembra tuttavia che si debba escludere l’ipotesi che l’assassinio sia dovuto ad un movente di lucro. Il Trossi, almeno a giudicare dalle sue condizioni attuali, non possedeva tali somme di denaro da indurre qualcuno ad assassinarlo per derubarlo. La seconda ipotesi è che si tratti piuttosto di una vendetta. Allora bisogna risalire un po’ indietro nel passato di Trossi, per vedere se egli avesse avuto relazioni con qualche donna. Questa circostanza non è esclusa completamente e quindi potrebbe spiegare il delitto.”

      Non ho trovato la fine delle indagini. In un paio di numeri successivi, si parla del Trossi, delle indagini che continuano, del fratello parroco addolorato, eccetera, ma la fine non c’è.

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      Vi ricordate l’assassinio del tenente Rosi? Ne parlai il mese scorso. L'assassino venne scoperto ed arrestato: il militare Giulio Bogni. Si fece il processo e si giunse al momento della sentenza.

      Da LA STAMPA di venerdì 18 Aprile

Bogni condannato alla fucilazione nella schiena

      “Alle arringhe, il Bogni non ha battuto ciglio, fisso il torvo occhio al pavimento, le mani in grembo, in un’attitudine di abbandono indolente. Non lo riscosse l’evocazione alla madre, esempio di onestà, alla famiglia sua infelicissima, che fece il suo difensore avv. Nasi, per gettare nella causa arida e cupa un’ondata di puro sentimento. Non si è turbato alla commemorazione commossa che della vittima fece l’avv. Torchio, che ebbe compagno il povero Rosi, baldo fanciullo, nelle aspre difese dell’Asolone (nota: sul Monte Grappa).
      Il Tribunale si ritira. Non è lunga l’attesa. Il Tribunale alle 16, 15 entra. Silenzio, attento ed ansioso, il Bogni è in piedi un po’ pallido, ma senza apparente trepidazione. Il presidente legge la sentenza. E’ respinta l’istanza della difesa per l’ammissione della perizia psichiatrica. Non si sente un alito nell’aula.
      Ecco la condanna: fucilazione nella schiena previa degradazione e: «accusato – esclama il presidente frenando l’emozione – avete due giorni per ricorrere al Supremo Tribunale di guerra e marina».
      Ma Bogni non si scompone. Solo i suoi occhi hanno una torbida luce. Porge alle manette i polsi, tranquillamente.”

      Comportamento da eroe...

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      Da LA STAMPA di sabato 19 Aprile

Perché Bogni ha ricorso contro la sua condanna a morte

      “Bogni, l’uomo arido, inerte ad ogni affetto ed ad ogni sentimento, vuole spiegare questa sua decisione contrastante coll’atteggiamento passato, vanitosamente tenuto di fronte anche alle più chiare minacce dell’espiazione suprema, con un movente delicatamente sentimentale e pietoso.
      «Riconosco giusta la condanna – egli ha detto – e non dovrei ricorrere contro di essa. Tanto meno lo dovrei perché non posso sentire in me quel pentimento che coll’eterno rimorso del mio atrocissimo delitto potrebbe costituire una giusta espiazione. Non che non voglia pentirmi! Non posso. Il pentimento mi sfugge dall’animo anche quando la ragione, che mi fa talora vedere tutto l’orrore del mio delitto, cerca imprigionarvelo. Sento che sono un uomo pericoloso. Non potrei emendarmi. Quante volte infatti avrei avuto occasione di correggermi! Non potevo forse essere un buon soldato e redimermi? Non avrei dovuto ricorrere perché la morte non mi fa paura e non l’ho mai temuta e perché forse il ritardarla può finire di risolversi in una crudeltà inutile verso me stesso.
      Ma oggi di fronte alla morte io ho sentito nell’animo quello che forse sulla soglia della vita avrò istintivamente sentito e che poi con traviata indifferenza dimenticato: la mamma! Ho una mamma buona io. Ecco perché rivoglio la vita che pure per me non può essere che una continua tortura ed un sacrificio immane».

      Doveva avere dei bravi difensori, per escogitare questa sortita, secondo me, poco convincente.
      Non ho trovato altro, nel mese di Aprile. Vedremo in seguito.

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