Venti Settembre 2020: io voterò sì. Lo dico sin d’ora, a metà Settembre.
L’altro giorno (ma non ricordo quale e noi trovai più il giornale) lessi l’articolo di un valido giornalista che illustrava il perché del no alle prossime votazioni referendarie di settembre. Non mi ha convinto – come non mi convince Prodi, anche se, come me, due anni fa votò Si al referendum di Renzi - e mi spiego. Ora, dice che l’idea è buona, ma che la strada è lunga e quello del 20 Settembre sarebbe solo un passo. Mia nonna diceva che la strada è fatta da un passo dopo l’altro, ma, forse, Prodi (che io, nel complesso, stimo molto) non lo sa.
Ho 86 anni e parecchi conoscenti parlamentari, con cui sono in buoni rapporti personali, indipendentemente dalla loro appartenenza. Non vorrei danneggiarne nessuno, ma la mia propensione per il sì segue un altro ragionamento. Non è, certamente, la riduzione della spesa, cosa insignificante da sbandierare solamente pour épater le bourgeois (incantare i creduloni, libera traduzione…).
In oltre quarant’anni di servizio nelle amministrazioni statali, imparai come le decisioni dei politici (e dei governi) siano sempre prese da un gruppo ristretto che, in passato, era sempre un gruppo pensante ed ora… un po’ meno. Ho presente un ministro da cui dipendevo, ottima persona (come lo fu, fra gli altri, Mattarella), che ammetteva che nel suo partito, come negli altri, le decisioni erano prese da una ventina di persone veramente competenti. Poi, in parlamento, ogni partito diceva ai suoi peones come votare. I peones si occupavano (e si occupano) di cosette locali, su pressioni degli elettori; piccole cose che servono localmente, ma soprattutto servono ad attirare voti che, a loro volta, servono a sostenere o combattere i governi, ma strutturalmente non indirizzano – come sarebbe necessario – la politica di uno Stato. Persino un noto politico, qualche decennio fa, definì i parlamentari come eletti da un “popolo bue”.
Il mio ragionamento è attuale, dettato esclusivamente dalla legge elettorale vigente che prevede le liste bloccate. Sic stantibus rebus, è ovvio che l’elettore non possa scegliersi la persona che ritenga più utile ai suoi personali interessi; di conseguenza, dovrebbe essere logico, doveroso ed utile per ogni partito candidare solo teste pensanti, persone anche poco portate ai discorsi, ma con la levatura di statisti, come ce ne sono stati in passato. Devono candidare persone bene a conoscenza delle leggi, scritte e non scritte, che determinano la situazione economica, politica, sociale, culturale ed etica nazionale e soprattutto mondiale; devono essere candidati che, oltre alla storia dei grandi pensatori - soprattutto economisti e politici - del passato, conoscono anche le esigenze etniche, ataviche, culturali dei Paesi con cui ormai si deve costantemente trattare.
Ci saranno meno spintoni per le beghe locali e meno sproloqui portavoti.
Ma, se (e sottolineo se) il popolo è bue, ovviamente non legge, non conosce le storie; quindi rimane facile preda di chi fa blablabla, di chi fa battute ironiche, di chi spara qualunque idiozia sull’avversario; certamente, non sarà in grado di scegliere chi parla poco e pensa molto, chi, insomma, ha levatura di statista.
“La storia insegna, ma non ha scolari”, scrisse Antonio Gramsci.
Ma siamo sicuri che il popolo sia proprio bue? Io ancora non ci credo.
Spero di trovare un partito che dica chiaramente: i miei candidati non sono chiacchieroni, non fanno selfi, non promettono il ponte anche a chi non ha il fiume, ma si presentano con le sole caratteristiche di competenza ed onestà, intendendo competenza da Nobel ed onestà da Beati. Lo troverò?
Comunque, pur con molti dubbi, non rinuncio al mio diritto di voto, senza piangere, qualunque sarà il risultato. Eppoi, pensando a chi chiede – anche televisivamente – di avere pieni poteri (chiunque sia), non posso fare a meno di rileggere la poesia di Trilussa (Carlo Alberto Salustri, per chi non legge la storia…), intitolata
NUMMERI
"Conterò poco, è vero"
diceva l'Uno ar Zero
"ma tu che vali? Gnente, proprio gnente.
Sia ne l'azzione come ner pensiero
rimani un caso voto e inconcrudente.
Io invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
È questione de nnummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so' li zeri che je vanno appresso".
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