(sonoro) bella 186

ACCADDE... 100 ANNI FA (Maggio 2023)

      Ho spulciato alcini brani di notizie del Maggio di cent'anni fa, il che mi ha aiutato a chiarire il sottofondo di certi avvenimenti del tempo e di confrontarli cogli attuali. Sono certo che questo è anche il lavoro dei molti docenti di filosofia e storia, accurati educatori dei loro discenti.

      3 Maggio 1923 - Nasce Jacopo Gasparini.
      Jacopo Gasparini fu nominato Governatore d’Eritrea il 3 Maggio 1923. Precedentemente fu Ambasciatore nello Yemen e reggente in Somalia e si distinse nella diplomazia durante tutto il Ventennio, quasi interamente passato in terra d'Africa. Come Governatore d'Eritrea (fino al 1928), ebbe un'importanza fondamentale nelle trattative fra il sovrano dello Yemen ed il Governo italiano.
      Si impegnò in quello stesso periodo nella ricostruzione di Massaua, colpita dal forte terremoto del 1921; la città divenne un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e delle materie prime provenienti dall'Etiopia, e nella bonifica di 15.000 ettari di terreno, per la produzione di caffè, cotone e china.
      Jacopo Gasparini, inoltre, passa alla storia per l'aver tentato un colpaccio che avrebbe reso l'avventura in Eritrea ben diversa: acquistare un protettorato sullo Yemen. Gli inglesi, ovviamente riuscirono ad impedire l'operazione, ma il peggio lo compì Mussolini, che tergiversò e si lasciò sfuggire il controllo di un'interessante area petrolifera.
      Morì ad Asmara in Eritrea il 16 maggio 1941 per arresto cardiaco.
      Commento – Fu un ambasciatore non invischiato nella politica, fermo e solido difensore dell’Italia e suggeritore di iniziative che avrebbero portato prosperità e prestigio economico al nostro Paese. Ma Mussolini aveva per motto “è l’aratro che traccia il solco…” e preferì la zappa alla trivella petrolifera.

      26 maggio 1923, nasce la 24 Ore di Le Mans
      il 26 maggio del 1923 partiva la prima edizione della 24 Ore di Le Mans, una gara che resisterà nel tempo e scriverà alcune tra le pagine più importanti dello sport. La gara doveva servire per dimostrare l’affidabilità delle vetture turismo dell’epoca, che ancora facevano fatica a diffondersi tra la gente. Inizialmente si era pensato ad una prova di sole otto ore, di cui la metà da disputarsi durante la notte al solo scopo di spingere i costruttori a perfezionare le loro apparecchiature elettriche, ma venne poi scelta una durata di 24 ore proprio per evolvere i mezzi meccanici verso l’affidabilità.
      Trentacinque vetture chiesero l’iscrizione alla gara. La maggioranza delle vetture e dei piloti, (59 su 66 partenti) erano di nazionalità francese. Il tracciato, di 17,262 km era creato chiudendo le strade normalmente aperte alla viabilità. Già allora era simile all’attuale, situato a sud di Le Mans, verso Tours. Al via vennero ammesse 33 vetture allineate in base all’ordine cronologico di iscrizione. La gara iniziò alle ore 16.00 sotto una violenta grandinata, tramutatasi poi in pioggia battente per ben 4 ore.
      Nonostante gli sforzi degli organizzatori per rendere il circuito scorrevole, la sede stradale in terra battuta si riempì ben presto di buche e di fango. Tutte le vetture, tranne due, erano prive di tetto, solo alcune disponevano di parabrezza o di copertura in tela dell’abitacolo. Come se non bastasse, nel tentativo di ridurre il peso, le vetture montavano parafanghi elementari e poco avvolgenti, nessuna vettura disponeva di tergicristalli e la maggior parte dei piloti guidò anche senza occhialoni protettivi poiché, sporcandosi facilmente di fango, limitavano la visibilità.
      Dopo 3 ore di gara iniziarono le prime soste per i rifornimenti. I regolamenti imponevano solo due piloti per auto, di cui solo uno poteva lavorare sulla vettura mentre era ferma ai box. L’altro doveva riposare.
      Durante le fasi notturne, numerose auto riportarono danni ai loro impianti di illuminazione, inconvenienti causati dai sassi che spesso venivano sollevati dalle vetture mentre percorrevano la pista in terra battuta; spesso anche i serbatoi di benzina subivano forature.
      Al termine risultò vincitrice una Chenard & Walcker da circa 3 litri di cilindrata ad una media di poco superiore ai 92 km/h. La vettura era condotta da André Lagache e René Léonard, ingegnere della stessa casa il primo e capo collaudatore il secondo. I vincitori, in 24 ore, percorsero 128 giri per un totale di 2.209,536 km, distanziando il secondo classificato di 4 giri.
      La gara ebbe successo e da allora la 24 Ore di Le Mans è diventata la maratona che tutte le case costruttrici vogliono vincere.
      Commento – La partecipazione italiana fu scarsa, perché era invidiata dal governo italiano del tempo, che non voleva ammettere che la Francia fosse un passo avanti.

      7 Maggio 1923 – Il Re Giorgio V d’Inghilterra a Roma
      Ecco il testo del brindisi di S. M. il Re d'Italia: «Maestà! Con animo grato e particolarmente lieto, la Regina ed io salutiamo l'auspicata venuta della Maestà Vostra nella capitale del Regno. Se ne compiace il popolo italiano tutto, che vede in questa visita una nuova testimonianza dall'antica amicizia così strettamente consacrata in un'ora decisiva della storia. Non può affievolirsi la memoria dell’efficace simpatia colla quale, nei primordi del nostro Risorgimento, la vostra Nazione accolse e difese gli assertori della causa italiana!. Le recenti prove delle armi, sostenute insieme con tanta testimonianza di eroismo e anelito di gloria, hanno creato un altro vincolo che rafforza gli antichi, ed è specialmente sempre vivo in noi il ricordo del concorso recato dalle Vostre valorose truppe, animate dalla presenza del Vostro augusto Figlio, negli aspri cimenti degli altipiani. Gli stessi ideali, che costituiscono la base essenziale delle nostre civiltà, non possono non determinare aspirazioni e sforzi convergenti così sul terreno dei reciproci interessi nazionali come su quello più vasto delle relazioni fra i popoli. Con la sicurezza di essere interprete dei sentimenti del mio paese, rendo in questo momento un tributo di schietta ammirazione per il popolo della Gran Bretagna ed esprimo l'augurio che esso vorrà ancora trovarsi a lato di quello italiano nell'opera che ci attende domani. Con questi sensi, io alzo il calice in onore di V. W., di S. M. Ia Regina, di S. M. la Regina Madre e della reale Famiglia, e formulo i voti più sinceri per la costante prosperità e grandezza della Gran Bretagna e Domini».
      Ecco, in risposta, il testo del brindisi dì S. M. il Re d'Inghilterra: «Maestà! Con sentimenti di non comune piacere e gratitudine io mi alzo per ringraziare V. M. delle parole generose colle quali avete dato il benvenuto alla Regina ed a me nella Vostra capitale. Sono lieto di potervi fare questa visita, nella storica città ed esprimere fra le sue mura, a nome di tutti i popoli dell'impero britannico, i sentimenti di amicizia e di rispetto con i quali il popolo italiano è considerato in tutte le parti dei miei domini. Memorie di lunga data, basate su di una più recente fratellanza di armi, legano le due nazioni con un nodo che nessun urto può spezzare. Il sentimento che animava i soldati britannici ed italiani, or sono tre quarti di secolo, a combattere fianco a fianco sui campi di Crimea; il sentimento che induceva il popolo britannico a seguire con calda simpatia la formazione dell’Italia moderna per opera degli eroici soldati e degli statisti italiani dell'ultimo secolo, questo sentimento trovò il suo suggello nei comuni sacrifici e sofferenze della grande guerra, coronata dal trionfo di Vittorio Veneto. La Regina ed io ricordiamo con orgoglio che il nostro figlio maggiore, durante un periodo di quella grande lotta mondiale, prestò il suo servizio nella ispiratrice fratellanza di armi dell'esercito italiano. Guardando indietro nella storia dei nostri due popoli, è con piena fiducia che io considero le loro relazioni future, ben sicuro che nessuna nube potrà mai oscurare la gloria di queste memorie od offuscare lo splendore di questi ideali, egualmente condivisi dalle due nazioni e dai quali in realtà dipende il futura cammino del progresso e della civiltà. In questa antica capitale, così ricca di gloria e così vibrante di speranza, io scambio con compiacimento il pegno della rinnovata e rafforzata amicizia, che V. M. mi ha offerta nel suo discorso, e bevo alla salute di Vostra Maestà, della Regina, della Regina madre e dell'intera Vostra. Famiglia».
      Poi, l'alta onorificenza a Mussolini. Alle ore 16 il Re d'Inghilterra ha ricevuto al Quirinale il Presidente del Consiglio on. Mussolini, che ha portato all'augusto ospite il saluto entusiastico e sincero del Governo e del popolo italiano. Re Giorgio, anche in nome della Regina, ha dichiarato di sentirsi profondamente commosso per le accoglienze solenni e vibranti tributategli al suo arrivo dal popolo di Roma. Il colloquio è durato 15 minuti. Alla fine, il Re d'Inghilterra ha voluto, con parole di personale simpatia, consegnare egli stesso all'on. Mussolini le insegne di cavaliere di gran croce dell'Ordine del Bagno, che è una delle massime onorificenze dell'Impero britannico.
      Commento – E’ vero. L’Inghilterra (che io non amo molto) fin dallo sbarco a Marsala di Garibaldi favorì l’unificazione italiana (io un po’ meno…) e anche nella prima guerra mondiale (per noi, 1915-1918) fu nostra strenua alleata. Anche nel 1935, quando la Società delle Nazioni decise contro l’Italia quelle che Mussolini definì le “inique sanzioni”, l’Inghilterra chiuse spesso un occhio sul transito di navi italiane nel canale di Suez, controllato dall’Inghilterra. Le cose andarono bene, finché Mussolini, con atto di cretina furbizia, non si innamorò di Hitler. Ciò dimostra perché le dittature, non avendo opposizioni che facciano presenti eventuali errori politici, sono spesso vittime dei propri evitabili errori. Infatti, le dittature – tolta qualche eccezione come Franco in Spagna – cadono o perché hanno perso la guerra o per rivolta popolare o per assassinio.

      La Stampa – 12 Maggio 1923 - Governo e autorità locali
      Ci siamo astenuti e ci asteniamo, di proposito, dall'entrare nelle questioni e nei dissidi interni del fascismo, limitandoci a dare, per la cronaca politica, quel tanto di notizie che è necessario, e cioè molto di meno di quello che i giornali fascisti e fasciofili pubblicano quotidianamente. Sarebbe una sciocca speculazione, da parte di chi è politicamente non favorevole al fascismo, quella di mirare a invelenire le discordie interne di esso, col risultato probabile di ricostituirne il fronte unico a proprio danno; e sarebbe altresì una pericolosa illusione lo scambiare per sintomi di decadenza e di sfacelo quelli che possono invece considerarsi come fenomeni naturali in un partito arrivato all'apice dello sviluppo e che è, virtualmente, solo padrone del potere. Appunto perché oggi il fascismo è virtualmente il solo padrone del governo, le sue vicende interne hanno un riflesso sull'andamento della cosa pubblica ed interessano pertanto la totalità dei cittadini, anche non fascisti o magari antifascisti. Da questo punto di vista, il fenomeno caratteristico dei noti episodi, non ancora tutti chiusi, è costituito dallo sviluppo di quelli che, per adottare un termine adoperato, in proposito, correntemente dai fascisti stessi, possiamo chiamare i «proconsolati». Sono, cioè, i «signori della seconda fila di poltrone», secondo la pittoresca espressione dell'onorevole Mussolini, cioè i capi delle gerarchie fasciste regionali e provinciali, e in genere i maggiorenti del fascismo locale, quelli che, in più casi, sono riusciti a costituirsi delle posizioni dittatoriali, al disopra dei gregari e dei capi minori fascisti, degli altri partiti e delle stesse autorità governative. Fenomeni simili, lo ripetiamo, sono perfettamente normali in un partito come il fascista, dal rapidissimo sviluppo, dal potere quasi assoluto, dalla formazione militare; elementi non accompagnati, per giunta, da una adeguata preparazione politica, da un’armonica organizzazione di pensiero e da una fisiologica aderenza alla realtà sociale contemporanea.
      Si può, infatti, essere fautori od avversari della effettiva dittatura dell'on. Mussolini ; ma è chiaro che nessun vantaggio ci si potrebbe ripromettere dallo spezzettamento di questa dittatura in tante satrapie locali, per giunta cozzanti fra loro. Che di fronte ad esse il potere dell'on. Mussolini rappresenti un principio e un valore di ordine statale altamente apprezzabile, è di evidenza palmare. Nell'intento, dunque, di agevolare al governo l'adempimento di questo suo compito statale, noi crediamo opportuno rilevare un punto fondamentale che il governo dell'on. Mussolini deve considerare se esso vuole, come certamente vuole, che la sua cura possa procedere, al di sopra dell'empirismo occasionale, con una certa razionalità organica.
      E il punto è questo: la coscienza, non solo nominale, ma effettiva, che le autorità governative locali debbono avere di essere organi dello Stato e dipendenze del governo centrale. Il quale, e nessuno lo contesta, è attualmente un governo fascista; ma resta sempre il fatto che il fascismo-governo è quello di Roma, e non già quello dei fascisti locali, che, rispetto alle autorità governative, locali e centrali, sono dei sudditi come tutti gli altri. Il pensiero del governo di Roma in proposito non è dubbio ed è stato espresso più volte chiaramente. Ma si illuderebbe grandemente chi ritenesse che esso sia penetrato a fondo nelle coscienze di tutte le autorità governative locali, e quindi si sia trasfuso nella loro azione. Questa, troppo spesso, è invece guidata dal timore di offendere questo o quel «signore della seconda fila di poltrone», o, peggio, dal desiderio di compiacergli, nella speranza di guadagnarne presso il partito dominante.
      Tale contegno è precisamente quello che agevola la formazione di quelle situazioni anormali da cui ha preso le mosse il nostro discorso, o piuttosto è proprio la condizione che rende possibili le situazioni anormali a cui il governo deve poi provvedere, per non renderne responsabili le autorità governative stesse, con tutte lo ovvie conseguenze. Precisi e fortifichi dunque il governo, nei suoi dipendenti locali, quella coscienza per cui essi si considerino servitori dello Stato e non degli uomini di un partito e le autorità locali, per parte loro, si rendano perfetto conto delle esigenze e della volontà governativa. Sarà tanto di guadagnato per le autorità medesime, per il governo e tutta la nazione.
      Commento – Questo articolo è un po’ astruso, ma vuol dire semplicemente che Mussolini, come capo del governo (non ancora solo fascista), cercava di comportarsi da uomo politico, mentre i suoi rappresentanti nelle città di provincia si sentivano capipopolo e continuavano colle angherie, anche crudeli, verso chi non la pensava come loro. Chi fece il manganellatore, il torturatore, il distributore di olio di ricino si sentiva padrone del mondo e non pensava minimamente ad occuparsi del problemi politico-amministrativi.

      La Stampa – 14 Maggio 1923 - Il Consiglio nazionale del Partito Popolare.
      Si è riunito il Consiglio nazionale del Partito Popolare, presenti: don Luigi Sturzo, il sen. Montresor, 1’on. De Gasperi, l'avv. .Spataro, il sen. Zoli, la sig.a Novi-Scanna, l'avv. Pieroni, il prof. Colonnetti, l'avv. Alberti, l'avv. Galletto, Il cav. Smuraglia, il prof. Marchi, l'avv. Ferrari, l'on. Merlin, il prof. Cecconi, l'avv. Chiri, il comm. Ferrazza, l'avv. Candolini, l'on. Achille Grandi, Canonici, l'on. Cappa, don Giulio Derossi, il dottor Campelli, l'on. Cingolani, l’ing. Castellucci, il principe Ruffo, il comm. Bianchi. Presiedeva il sen. Sederini che, giustificati gli assenti, ha comunicato i nomi dei designati a rappresentare in seno al Consiglio i due gruppi del Parlamento. Di tali nomi il Consiglio nazionale ha preso atto. Dopo di che ha inviato un saluto ai consiglieri non rieletti. Ha avuto quindi la parola don Sturzo, che ha comunicato ai presenti la circolare diramata alle sezioni per partecipare i deliberati del Congresso e le norme per l'elezione dei Comitati provinciali. Don Sturzo ha comunicato pure una lettera a favore del voto amministrativo alle donne, da lui inviata a nome del partito al Congresso internazionale per il suffragio femminile. Dopo di ciò si è proceduto alla nomina della Direzione del partito. Don Luigi Sturzo è stato riconfermato segretario politico all'unanimità. La Direzione del partito è risultata cosi composta: sen. Soderini, on. De Gasperi, on. Rodino, avv. Cappa, prof. Colonnetti, principe Ruffo. Alla carica di vice segretario è stato aletto l'avv. Spataro. Subito dopo si è iniziato l'esame della situazione politica. Hanno parlato su questo argomento l'on. Merlin, l'avv. Cappa, l'on. Achille Grandi e l'avv. Ferrari. Ouindi la discussione è stata sospesa e sarà ripresa domani alle 15.
      Commento – Sembra che questa sfilza di nomi non dica niente, invece è la prova della volontà di don Sturzo di frenare il crescente fascismo, mantenendo in vita un partito serio e moderato tale da ottenere la maggioranza nelle prossime elezioni. Ciò che riuscì a De Gasperi nel 1948 per difenderci dalla incombente dittatura comunista. Ma don Sturzo aveva dei seguaci, nel Partito Popolare, che avevano più paura del comunismo che del fascismo, come vedremo nel prossimo pezzo.

      La Stampa – 26 Maggio 1923 – Intervista a personalità piemontese liberale
      L'on. Mussolini ha letto con molto interesse al banco del governo la pubblicazione della Stampa. L’intervista è oggetto del seguente commento del Corriere d'Italia: «Rilevammo giù ieri l'altro un articolo della «Stampa» dal quale traspariva un atteggiamento nuovo di quel giornale nei rapporti del Governo dell'on. Mussolini. Quest'intervista pubblicata dallo stesso organo torinese ed attribuita (nota: senza certezza) all'on. Giolitti conferma l'impressione che il partito liberale riconosca il dovere di coadiuvare indirettamente col governo dell'on. Mussolini, e ciò può farsi non coll'intromettersi nelle cose interne del Partito ma coll'offrire all'on. Mussolini una franca ed aperta collaborazione quando questa sia bene accetta e naturalmente possa svolgersi sulla base di una reciproca lealtà.
      Questo è anche ciò che noi sosteniamo da tempo, e di fronte a manifestazioni come questa, che viene dal campo giolittiano, non esitiamo ad affermare che in questo atteggiamento ed in quest'opera di collaborazione esiste ora il più immediato dovere di tutti i Partiti nazionali. Ma dell'argomento e dell'intervista citata, che ci riserviamo di leggere nel testo integrale, dovremo tornare ad occuparci più largamente di quanto non sia possibile oggi in questa rapida nota su di una comunicazione telefonica che abbiamo ricevuta da Torino». Il Giornale d'Italia, nella sua ultima edizione, riproducendo i punti sostanziali dell'intervista della Stampa, dice di aver pregato l'ex-ministro Luigi Rossi di chiedere all'on. Giolitti se l'intervista fosse sua. L'on. Giolitti ha risposto che l'intervista non è sua.
      Commento – I partiti contrari al fascismo erano più d’uno, a cominciare dai liberali, ma le due forze predominanti erano il fascismo e il comunismo. I tradizionali partiti oppositori non si misero d’accordo e non fecero breccia fra il popolo. Allora, dando per scontata la loro sconfitta, cominciarono a pensare al male minore. Tra Stalin e Mussolini scelsero Mussolini. Sbagliarono? A noi posteri l’ardua sentenza.

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