(Ottobre 2010)

(Ottobre 2010)
IDOLO INFRANTO

Avevo un idolo, che credetti sempre un duro e puro di cuore. Poi, recentemente, venni a conoscenza di alcuni suoi scritti, che trascrivo in grassetto.

Da “Italia Fascista in piedi”, pag. 188: "(…). Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù", pubblicato, poi, sul giornale della Federazione Fascista di Cuneo il 4/8/1942.

Un duro e puro.

        Il 5 gennaio 1943, fu un giovanotto a denunciare alla polizia fascista l’industriale Paolo Berardi che, in un treno che percorreva la tratta Cuneo Torino, ebbe l’infelice idea di dire ad alcuni reduci dal fronte russo e dalla Francia che la guerra era ormai perduta. Per l’infelice industriale il destino volle che su quel treno, in quello scompartimento vi si trovasse pure “un ragazzo (ventitreenne)", ma già segretario del Guf di Cuneo e provincia, il quale appioppò uno schiaffone al povero Berardi. Ma non solo, appena sceso a Torino, lo denunciò, come detto, alla polizia quale “disfattista”. Di questo atto il ragazzo ventitreenne si vantò con un articolo da “integerrimo fascista”, ostentando il suo gesto e riportandolo con il titolo “La sberla… e la bestia”, pubblicato su “La Provincia Grande” dell’8 gennaio 1943. Ma era un “ragazzo".

        Questo ragazzo, divenuto famoso, fu uno dei firmatari di quel documento del 1971 e pubblicato su “L’Espresso” nel quale il commissario Calabresi veniva definito "commissario torturatore" e "responsabile della fine di Pinelli". Non sono pochi a sostenere (e fra questi la famiglia del povero Calabresi) che quel documento fu il deterrente per l’assassinio del commissario Calabresi, avvenuto, poi, puntualmente il 15 maggio 1972.

       Leggo in altro articolo, che questo brillante giovane "collaborava con Nicolò Giani nella Scuola di Mistica Fascista e nella preparazione del Documento della Razza."

       Sempre più incuriosito, leggo da un'enciclopedia: "Nel 1938 il suo nome comparve accanto ai firmatari delle leggi razziali fasciste"; inoltre: "Da giornalista fascista pubblicò 22enne il 4 agosto 1942 un articolo sul giornale "La Provincia Granda" nel quale imputa il disastro della guerra alla "congiura ebraica" scrivendo tra l'altro «Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa della guerra attuale... A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea... di essere lo schiavo degli ebrei?»
       Ancora: "Nel 1975 sostenne che l'esistenza delle Brigate Rosse fosse in realtà una favola raccontata agli italiani dagli inquirenti e dai servizi segreti".

       Questo giovanotto, fino a ieri, era un mio idolo, sia perché leggo tutti i suoi libri sia per la sua cuneesità: si chiama Giorgio Bocca.
       Non avevo mai conosciuto questo suo profondo impegno fascista. Però, penso che sia da persona intelligente riconoscere i propri errori. Ma che ciò non avvenga troppo spesso (si era persino avvicinato alla Lega Nord) e non cada negli eccessi opposti come la fatwa su Calabresi e la difesa delle Brigate Rosse, che non sono certamente peccati di gioventù.

       Il fatto che fosse iscritto alla Gioventù Universitaria Fascista (iscrizione non obbligatoria) non dice niente, perché vi erano iscritti, ad esempio, anche Giorgio Almirante, Antonio Amendola, Pietro Ingrao, Giorgio Napolitano, Alessandro Natta, Eugenio Scalfari. Anch'io, da ragazzino, mi sentivo importante vestito da Balilla.

        Comunque, la caduta di un idolo fa sempre male ai suoi adoratori, come ero io.

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