FATECI GIOCARE A SCUOLA! (Dicembre 2021)

 

      Ho visto con sofferenza il modesto sciopero degli studenti, pensando al fatto che la loro buona volontà da sola non può sopperire alla mancanza di conoscenze universali o specifiche. Questo, sempreché non siano stati strumentalizzati da qualcuno per fini ideologici.
      Ho pensato agli scritti di Gramsci, di cui apprezzo la capacità, la lucidità, l’onestà e l’impegno, anche se non condivido la linea politica del suo defunto partito.
      Studiate, studiate, studiate!, diceva, e ricordatevi che studiare è fatica, la scuola è fatica, la conoscenza è fatica. Diceva: “Lo studio è un lavoro, la scuola va considerata un lavoro, le ore a scuola sono ore di lavoro senza doverle alternare con altre attività che, automaticamente, verrebbero a privare il lavoro della scuola di quello che esso è nella realtà: appunto, lavoro”.
       Leggo ciò che, a fin di bene, dicono gli studenti nei loro bollettini: “È passato poco più di un mese dall'inizio della scuola e per l'ennesima volta tutte le carenze strutturali del nostro sistema educativo si sono mostrate: scuole pericolanti, trasporti affollati e insufficienti, didattica nozionistica, diritto allo studio negato, sono solo alcuni dei motivi per i quali le studentesse e gli studenti hanno deciso di mobilitarsi a Cuneo come in tutta Italia”.
      E continuano: “A settembre come Unione degli Studenti abbiamo svolto un'inchiesta tra gli studenti e le studentesse del Piemonte sulle condizioni del rientro a scuola e i dati emersi parlano chiaro. Trasporti insufficienti, classi pollaio, e ambienti stressanti: queste solo alcune delle problematiche emerse. Per il 71.3% degli studenti intervistati infatti la scuola è motivo di stress, il 60.5% dichiara che i trasporti non sono garantiti e il 48% ritiene che la propria aula non sia sufficientemente grande per il numero di studenti che ospita. Il 71.3% ritiene poi che il costo di libri e materiali scolastici sia troppo alto. I dati raccolti evidenziano problematiche strutturali della scuola che vanno ben oltre il tema del rientro. Crediamo siano necessari investimenti per la scuola pubblica, in materia di trasporto pubblico, edilizia e diritto allo studio, ma non solo. È necessaria una riforma totale dell’istruzione, che sappia rinnovare la didattica e immaginare un nuovo modello di scuola inclusiva per trasformare la società in cui viviamo. Un’altra scuola non è solo possibile, ma è necessaria”.

      Il sentirli parlare di didattica, scienza difficile che richiede la conoscenza di ciò che fece l’uomo da Eva in poi e ciò che pensò e scrisse sempre da Eva in poi, non lascia speranza. In buona fede, è l’opposto di ciò che Gramsci, nei suoi lunghi anni di carcere, auspicava per la scuola, illustrando analiticamente le sue idee. Per questo, mi permetto di trascrivere alla lettera alcune pagine di Gramsci, che certamente non saranno lette dagli studenti scioperanti, ma potrebbero esserlo da qualche persona che conosca la didattica e l’importanza di programmi appropriati e seri.

      “””Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. La lingua latina o greca s’impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente, ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e aridità.
      Si ha che fare con ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza fisica, di concentrazione psichica in determinati oggetti. Uno studioso di trenta-quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore filate, se da bambino non avesse «coattivamente», per «coercizione meccanica», assunto le abitudini psicofisiche conformi? Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare da lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo di cui ogni civiltà ha bisogno.
      Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita. Naturalmente io non credo che il latino e il greco abbiano delle qualità taumaturgiche intrinseche: dico che in un dato ambiente, in una data cultura, con una data tradizione, lo studio così graduato dava quei determinati effetti.
      Lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere disinteressato, cioè non avere scopi pratici immediati o troppo immediatamente mediati: deve essere formativo anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete.
       Mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata di un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola «formativa». La cosa più paradossale è che questo tipo di scuola appare e viene predicata come «democratica», mentre invece essa è proprio destinata a perpetuare le differenze sociali.
      Se si vuole spezzare questa trama occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovane fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come uomo capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige.
      Oltre la media, il moltiplicarsi di tipi di scuole professionali tende dunque a eternare le differenze tradizionali, ma, siccome in esse tende anche a creare nuove stratificazioni interne, ecco che nasce l’impressione della tendenza democratica. Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un manovale diventi operaio qualificato, ma che ogni «cittadino» può diventare «governante» e che la società lo pone sia pure astrattamente nelle condizioni generali di poterlo diventare.
      Anche lo studio è un mestiere molto faticoso, con un suo speciale tirocinio anche nervoso-muscolare, oltre che intellettuale: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia. Ma il giovane tende a rallentare la disciplina dello studio, a domandare facilitazioni. Molti del popolo pensano addirittura che nella difficoltà dello studio ci sia un trucco a loro danno; vedono il signore compiere con scioltezza e con apparente facilità il lavoro che ai loro figli costa lacrime e sangue e pensano ci sia un trucco. In una futura situazione politica, queste quistioni diventeranno asperrime e occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.
      Se si vorrà creare un nuovo corpo di intellettuali, fino alle più alte cime, da uno strato sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini psico-fisiche adeguate, si dovranno superare difficoltà inaudite.”””

      Gramsci era in carcere perché comunista e pensava come sopra descritto; i nostri giovani che scioperano la pensano esattamente al contrario, ma non per questo sono fascisti; semplicemente non hanno preparazione culturale, ma pretendono di averla. Allora? Spingono perché la scuola sia più facile (diplomificio, si diceva una volta).
      Caro lettore (e mi rivolgo almeno all’unico lettore che spero mi legga), io ho parecchi giovani conoscenti, discendenti di famigle modestamente limitate, faticosamente educati secondo il pensiero di Gramsci (ma non sono comunisti). Non vanno a ballare, non vanno al bar, non sono dediti ad uscite notturne: hanno studiato e basta. Naturalmente, ora sono laureati; alcuni sono docenti di ruolo nei licei ed uno in una università straniera (dove insegna latino e greco!). Uno, ad esempio, si laureò due anni fa e, a 28 anni, lavora in azienda italiana con primo stipendio di oltre 2200 mensili netti. Un altro, , sempre ad esempio, sui 25 anni, oltre che una laurea in musica, ha quella quinquennale in lettere ed è subito dottorando triennale con appannaggio. Sono giovani uomini che vivono per conto proprio e continuano a studiare. Risultato? Avendo acquisito una notevole apertura mentale sulle vicende umane complessive, ovunque si trovino a vivere, sono sempre col cuore pieno di allegria.
      Non parlo della fatica che feci io. Basti dire che mio nonno era carrettiere...

      Se troverò il tempo, un prossimo mese parlerò dell’evoluzione (si fa per dire) dell’ordinamento scolastico in Italia e di come l’attuale ministro dell’istruzione non sia affatto seguace di Gramsci.

 

lettera precedente
lettera successiva
torna all'indice
Torna BIANCHI