LA SCUOLA SAVOIARDA DALLA PESTE IN POI - I parte (Gennaio 2022)

      Nel 1978 o '79, dovendo tenere una conferenza sulle vicende della scuola italiana, dal 1861 in poi, mi documentai un po’ ed ora scoprii gli appunti che mi servirono allora. L’avevo intitolata “L’evoluzione del sistema scolastico italiano”.
      Bisogna tener presente che avevo ancora soltanto una conoscenza modesta degli immensi problemi della scuola e che, in quegli anni, i pensieri stessi sulle migliori modalità di una scuola erano alquanto diversi da quelli attuali.
      Comunque, come documento del tempo, ripropongo in alcune puntate mensili il brogliaccio che mi servì per la conferenza.

°°°°°O°°°°°

CIO’ CHE TROVO’ IN PIEMONTE LA LEGGE CASATI DEL 1859

      A Torino, capoluogo dello Stato Sabaudo, nel 1630 morì di peste (quella resa famosa dal Manzoni) l’unico maestro di scuola elementare del Comune. Se si pensa che lo stesso fu sostituito solo nel 1633, ci si rende conto in quale considerazione fosse tenuta l’istruzione primaria pubblica a quel tempo.
      Sempre a Torino, nel 1648 c’erano 140 scolari elementari nella scuola pubblica, con un solo maestro, che aveva come aiuto due ripetitori. Qualche anno dopo, anche quell’unico posto di maestro fu soppresso e la scuola elementare fu affidata ai Padri Somaschi.
      All’inizio del ‘700 Vittorio Amedeo II introdusse quello che si può definire, in embrione, il valore legale del titolo di studio, decretando che solo l’Università di Torino potesse rilasciare lauree riconosciute, mentre fino a quel momento lo facevano anche le scuole religiose. Sempre Vittorio Amedeo II, nel 1729, avocò ( questo termine ritornerà 200 anni dopo) la gestione di tutte le scuole medie; meglio, ne avocò la vigilanza e l’indirizzo generale, lasciando possibilità di gestione anche ai privati.
      Nel 1771, Carlo Emanuele III diede una regolamentazione di base alle scuole pubbliche, con una riforma organica e complessa, tesa ad incrementare l’ingerenza statale nelle scuole. Furono create sette classi ed un curriculum che andava dalla 7° alla 1°. La classe 7° era l’istruzione primaria, le classi 6°, 5° e 4° costituivano la grammatica inferiore, la classe 3° la grammatica superiore, la classe 2° l’umanità e la 1° la retorica (o rettorica, come si scriveva allora).
      In tutte le classi ogni esame letterario doveva essere preceduto da quello di catechismo.
      Fu istituito il Magistrato della Riforma, corrispondente un po’ al nostro Ministero della Pubblica Istruzione, così come i Riformatori Provinciali corrispondevano ai nostri Provveditori agli Studi. Furono creati, anche, i Prefetti delle Scuole, cioè gli attuali Presidi e Direttori Didattici. Però, in ogni scuola, accanto al Prefetto, vi era il Direttore di Spirito o Cappellano.
      A tutti era lecito insegnare a leggere e a scrivere; non occorrevano titoli di studio né abilitazioni particolari; solo chi avesse voluto insegnare il latino – ove previsto – doveva ottenere la preventiva idoneità presso l’Università.
      La condizione degli aspiranti studenti doveva essere l’appartenenza a specchiata famiglia; ad esempio, un regio biglietto (“viglietto”) del 1761, rimasto in vigore per molti anni, vietava di avviare agli studi “scolari vilmente nati e miserabili e sprovveduti di talento”. E passi per lo “sprovveduti di talento”!.
      E venne la rivoluzione francese, con le sue bellezze ed i suoi eccessi, con in coda il suo Napoleone e relativi eserciti dilaganti per l’Europa. Sull’onda della rivoluzione, anche in Piemonte le scuole furono riformate. Con decreto del 26 Vendemmiaio dell’anno IX (18 Ottobre 1800), le scuole furono divise in primarie e secondarie.
      Le primarie avevano la durata di tre anni e insegnavano a leggere e scrivere, a conoscere gli elementi principali della grammatica, della morale, dell’aritmetica, dello stile italiano. Nelle secondarie, pure di tre anni, si insegnavano la grammatica italiana, la geografia, la storia, la sintassi, la geometria, l’educazione civica (o, meglio, i diritti e doveri dell’uomo e del cittadino), il latino e un po’ di greco. Il francese era facoltativo, salvo nel periodo dell’Impero Napoleonico, quando divenne lingua ufficiale.
      Il 2° Floreale dell’anno X (11 Maggio 1802), si riforma la riforma; si creano tre tipi di scuola: primarie, secondarie e licei. Le primarie e le secondarie potevano essere a carico dei Comuni o dei privati; i licei erano soltanto statali. Matura l’idea – frutto dell’illuminismo rivoluzionario – di una scuola primaria in ogni nucleo abitato con almeno 300 abitanti. Solo che si dà facoltà ai Comuni di far pagare l’onere ai frequentanti, il che scoraggia in partenza la maggior parte dei possibili alunni.
      Nella scuola primaria, della durata di tre anni, si impara a leggere e scrivere l’italiano e il francese, s’imparano le quattro operazioni e i princìpi del latino. Nelle secondaria, pure di tre anni, si studiano le lingue italiana, latina e francese, la geografia, la storia, la matematica, il disegno e le arti cosiddette liberali (pensiamo alla nostra educazione tecnica?). Le secondarie private erano riconosciute dallo Stato e soggette alle stesse leggi delle comunali, ma, per mantenere il riconoscimento, dovevano avere almeno 50 studenti.
      Dalle secondarie si passava ai licei, che erano scuole speciali a carico dello Stato, a diffusione molto limitata, con insegnanti di nomina regia. Quale curiosità, faccio notare che costoro versavano il 25% dello stipendio per il fondo pensione, che si poteva ottenere dopo 20 anni di servizio.
      Nel 1814 sparisce Napoleone e spariscono le sue riforme; è il momento del Congresso di Vienna e della Restaurazione. Si rimette in vigore il regime scolastico del 1771, con tanta confusione, perché per maestri e professori è difficile adattarsi al vecchio clima e ai vecchi programmi. Parlando di quel periodo, scrive Francesco Cognasso: “Ma il punto debole della cultura piemontese era quello della scuola primaria ed intendo della scuola del popolo. Le classi alte (come reddito) avevano i precettori di casa ed i collegi aristocratici ed erano indifferenti per la “cultura popolare””.
      Si ritorna ad un sistema centralizzato, per quanto si possa parlare di centralismo in un piccolo Stato di sole tre Regioni: Piemonte, Liguria e Sardegna. Nelle scuole è vietato parlare di patria comune (cioè, d’Italia unita), di libertà e d’indipendenza (vedi Sardegna). Il ministro Troja venne destituito perché nei quaderni di qualche scolaro si trovarono dei brani e delle poesie di autori che parlavano di Italia e di libertà.
      In teoria, l’organizzazione scolastica di Carlo Felice prevedeva che in ogni Comune dovesse esserci una scuola a carico del Comune stesso, della durata di un solo anno, in cui si insegnavano lettura, scrittura, dottrina cristiana, elementi di lingua italiana, aritmetica. La classe era unica fino a 70 ragazzi; se superava tale numero, il corso era strutturato su due classi, in due anni consecutivi, con divisione delle materie. Nelle scuole più numerose, i ragazzi erano divisi in classi parallele, secondo la capacità dimostrata. (Nota - Secondo la capacità dimostrata? E' un concetto di cui vidi un tentativo di applicazione anni dopo, in Lussemburgo.)
                        (continua)

lettera precedente
lettera successiva
torna all'indice
Torna BIANCHI