I politici continuano a parlare della scuola come settore che svolge il compito più delicato fra quelli di cui lo stato si occupa, perché preposto alla maturità della persona ed alla sua preparazione anche ai fini dell’incremento dello sviluppo economico e sociale. Dal che si deduce che gli addetti a tale compito – gli insegnanti - sono (o dovrebbero essere) le persone più importanti per la nostra società, le più civicamente corrette, le più culturalmente preparate, le più cariche di responsabilità, assunte in servizio dopo essersi assicurati della loro validità e, a maggior garanzia, con un monitoraggio continuo e serio.
Ma è così? Eppure, leggiamo continuamente di lamentele, di critiche alla scuola, di contestazioni (più o meno guidate), di miracolosi consigli contrapposti.
Mi commuove, a volte, leggere gli scritti di insegnanti e dirigenti scolastici che, lavorando all’interno del sistema scolastico, ne conoscono bellezze e bruttezze. La settimana scorsa, lessi l’intervista ad un dirigente della mia città, esemplare per la delicatezza con cui tratta l’argomento, facendone risaltare, pacatamente, le bellezze e le bruttezze. Parla soprattutto dell’organizzazione e del rapporto docente-discente.
Vorrei, invece, considerare se l’importanza che la politica sventola per la scuola sia autentica o di facciata. Ragioniamo, limitandoci ai settori per cui sia prevista almeno una laurea.
a) Retribuzione. Se l’insegnante svolge il compito più delicato nella società ed è esposto ai pericoli (specialmente giuridici) spesso senza paracadute, logica ed onestà (termine che non si usa molto) vorrebbero che fosse retribuito in corrispondenza alla decantata importanza del compito. Confrontiamo la retribuzione dell’insegnante con quella di altri settori (sanità, giustizia, sicurezza, eccetera) e tiriamone le somme o, meglio, le tiri il lettore, perché non voglio essere più esplicito. Mi domando solo: è vero che la scuola è considerata così importante? E’ rilevante che la scuola non faccia paura a nessuno?
b) Assunzione. Avviene in modo serio? Si comincia col precariato, a volte dovuto a colpi di fortuna e a volte a chili di titoli di tutti i tipi. Mi è capitato di trovare chi legittimamente presentò due corsi biennali universitari a meno di un anno l’uno dall’altro. Sorpresa: l’Università aveva condensato il corso biennale – per corrispondenza – in quattro mesi.
Poi, arriva la leggina per l’inserimento a pettine, invenzione per fregare (scusate il termine) le persone serie.
Se non basta la leggina, arriva il concorso, spesso per titoli ed esami, il che è tutto un programma. Ma, limitiamoci a quello per soli esami. Si svolge il tema, bene, in modo appropriato, con frasi lessicalmente perfette, a volte reboanti (ripeto reboanti per quel giornalista che, parlando di scuola, scrisse per due volte roboanti); poi, si supera il colloquio ed è fatta: in ruolo o, come si dice ora, a tempo indeterminato. E’ giusto che sia così, ma rimane il periodo di prova.
c) Periodo di prova. Chi non supera il periodo di prova? Oggi, non ho statistiche. Finché ero in servizio, nessuno, salvi i casi di malattie mentali o di reati di una certa gravità.
E’ qui che il compito del dirigente scolastico diventa difficilissimo e carico di responsabilità: colla sua relazione, può privare del lavoro una persona, cosa molto più grave che una condanna penale a due anni con la condizionale. Facciamoli questi paragoni.
Ho un nipote, laureato ingegnere, assunto in una grande azienda, in prova per due anni. Per due anni, il controllo è quotidiano, asfissiante, intransigente, come deve essere. Non si dica che tratta dati di apparecchiature che, se non funzionanti, causerebbero danni gravi. E l’insegnante che insegna male (riconosciuto da superiori competenti, non dai genitori) non fa più danno?
E, per oggi, mi taccio, anche se vorrei tanto parlare dei programmi.
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