Lessi su un quotidiano del 30 Aprile scorso che, per intralciare le odiate prove Invalsi, la CGIL di Roma ha convocato appositamente nel giorno della prova tutti i docenti di tutti gli istituti comprensivi della Provincia di Roma. Naturalmente, nella convocazione non vi è cenno che sia la stessa data delle prove Invalsi; è prassi che chi tira il sasso nasconda la mano.
Non proviamo un senso di disagio nel vedere un sindacato che fa il possibile affinché non si possa accertare il reale grado di preparazione (conseguenza di un reale grado di capacità docente) degli allievi? Si direbbe che lo stesso sindacato diffidi dell’attività dei docenti, il che mi pare non solo un errore, ma un insulto. Eppoi, se li ritiene incapaci, perché li difende? Per la tessera? Mah!
Ma l’enormità è l’averne convocati 44.588 in un’aula di Trastevere con 150 sedie, più i posti in piedi. Non basta; ha convocato anche 8.500 appartenenti al personale non docente.
La sorpresa fu quando lessi la seconda parte dell’articolo: mi venne in mente, chissà perché, quando all’Università fui interrogato sull’istigazione a delinquere.
L’articolista fa l’ipotesi che la CGIL non sia così sciocca da non capire che non ci stanno tutti in un salone con 150 sedie, ma che pensi proprio che non vengano. Allora, se sa di andare incontro ad un flop, perché lo fa? Perché, nelle varie contrattazioni, ha ottenuto che, per partecipare alla riunione, basta solo farne domanda al dirigente scolastico, senza obbligo di giustificarne l’avvenuta partecipazione. In ogni caso, hanno diritto a tre ore filate retribuite di non servizio a scuola. Eppoi, per combinazione, la convocazione è di venerdì: guarda caso, per molti ponte assicurato.
Va bene che non ci sia più religione e che, quindi, non si possa più dire che rubare è peccato, ma, al di là di questo, c’è il disprezzo in cui un sindacato tiene la scuola, essendo evidentemente ininfluente che gli insegnanti insegnino, purché gradiscano l’operato sindacale.
Facciamo una riflessione sulle condizioni attuali della scuola, sulle mani che la dirigono, che la indirizzano, che la modellano sindacalmente, con tanti entusiastici applausi. Io non ci credo: non ho voluto indagare quanti siano stati gli insegnanti della Provincia di Roma che abbiano chiesto quel permesso. Credo, pochi, a meno che Roma non appartenga a quell’area italiana in cui conta solo lo stipendio, magari ottenuto a base di scioperi, di ricorsi, di legittimi aiutini legislativi sotto l’ala sindacale.
Ripeto: non so quanti abbiano chiesto il permesso e non voglio saperlo. Voglio continuare a credere nell’onestà della maggior parte degli insegnanti, così come ho creduto nell’onestà e capacità di quelli in servizio dalle mie parti in quasi quarant’anni di servizio in mezzo a loro.
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