LA LEZIONE DI GRAMSCI (Ottobre 2019)

 

      Lorenzo Fioramonti succede a Marco Bussetti: si passa dall’atleta al filosofo (anche se, dalla faccia ridanciana, non si direbbe; ma deve essere solo una foto accalappiavoti).
      Lessi un articolo – mi pare, di Porro – intitolato “Le barzellette di Fioramonti”, in cui si evidenziavano tante sue incongruenze logiche. Non sono d’accordo, perché un conto è la lotta politica, che al giorno d’oggi si serve di tutto, anche dei cambi d’opinione improvvisi, e un altro conto è il concetto d’istruzione che deve avere – e penso abbia – ogni ministro, compreso l’attuale.
      La perplessità mi viene nell’apprendere quali siano le sue due prime proposte: mettere tutti in ruolo (presumo, non con concorso per soli esami) e pagare meglio gli insegnanti. Due mète che tutti auspichiamo.
      Manca, però, la mèta principale: una rivisitazione dei programmi e dei metodi d’insegnamento, in modo tale da non sprecare materia grigia. Rimando tutti alla lettura di quanto scrissi il mese scorso, prendendo spunto dal libro di Galli Della Loggia.
      Fioramonti e altri diranno: ma Galli Della Loggia è di destra! A me non pare e non lo conosco. Ma Fioramonti, dal Settembre scorso, è sicuramente di sinistra. Di conseguenza, mi auguro abbia letto, da QUADERNI DAL CARCERE, ciò che sulla scuola pensava Antonio Gramsci, la cui appartenenza alla sinistra è inconfutabile:

Da QUADERNI DAL CARCERE di Antonio Gramsci

      “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza.
      La partecipazione di più larghe masse alla scuola media tende a rallentare la disciplina dello studio, a domandare «facilitazioni». Molti pensano addirittura che la difficoltà sia artificiale, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale. È una questione complessa.”

      A quando proposte concrete per l’applicazione alla scuola di concetti comuni ai due personaggi citati?
      Abbiamo fior d’insegnanti che s’impegnano al massimo, purtroppo seguendo l'indirizzo (stavo per dire:l’andazzo...) per cui i ragazzi debbano andare a scuola divertendosi. Sarebbe bello, certo, ma il risultato evidente è l’abitudine a vivere leggermente, a lamentarsi di tutto, a non sopportare nella vita il minimo sacrificio. Ci lamentiamo che i giovani sono teppisti, sono violenti, sono ladri (si pensi all'I.V.A.). Come sono stati educati, in famiglia e a scuola?
      Già i genitori attuali sono così, lo sanno bene gli insegnanti: guai se il bambino non è sempre ossequiato e lodato, ripeto lodato. Un TAR disponibile a dar ragione al genitore si trova quasi sempre, con norme alla mano. Ci sarà un ritorno alla severità educante? Ad un'istruzione meditata che formi cittadini dalla robusta e convinta solidità civica ed etica?
      Chiudo pensando alle considerazioni che, sull'istruzione, già faceva Confucio nel quinto secolo a. C.:
      "La persona che ogni giorno impara cose che egli non sa e le ripete con una mente concentrata e non dimentica le cose che ha studiato: questi può essere chiamato qualcuno davvero disposto ad imparare."
      Bah! Vivo sperando e morirò cantando…

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