LE FOTO DA 835 A 837 (Maggio 2020)

      Ripassando un po' la storia d'Italia, mi imbattei in un testo - di cui allego il link
"https://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/mastro_titta/mastro_titta_il_boia_di_roma/pdf/mastro_titta_il_boia_di_roma.pdf"
relativo a Mastro Titta. Chi era costui?
      Di nome Giovanni Battista Bugatti era uno dei personaggi più noti ed emblematici di Roma. Più noto come Mastro Titta, aveva una professione quantomeno singolare: era il boia del Papa. Sì, è così, perché all’epoca la pena di morte era legale in molti Paesi, incluso lo Stato Pontificio. Ufficialmente il suo mestiere era quello di pittore di ombrelli, ma in realtà era il boia dello Stato Pontificio, il “maestro della giustizia”. Da ciò deriva il termine “Mastro”, mentre Titta era un diminutivo del suo nome.
      Il percorso di Bugatti è stato lunghissimo: iniziò a 17 anni con Papa Pio VI e andò in pensione a 86 con Pio IX. Il boia annotava meticolosamente in un quaderno le sue esecuzioni, che furono 514, più due persone che non vennero giustiziate direttamente da lui: una venne fucilata, l’altra impiccata e squartata dal suo aiutante.
      Con totale professionalità, uccideva i condannati con varie tecniche. Quelle che usò di più erano l’ascia e la forca, e quando le truppe napoleoniche entrarono a Roma nel 1798, portando con loro la famosa ghigliottina, Mastro Titta dovette adeguarsi.
      Il boia viveva molto vicino al Vaticano, a due passi da Castel Sant’Angelo, nel Vicolo del Campanile, ma le esecuzioni si realizzavano dall’altro lato del Tevere, in genere a Piazza del Popolo o a Campo de’ Fiori.
      Il giorno in cui doveva realizzare un’esecuzione si alzava all’alba, si metteva il mantello rosso e attraversava il fiume passando il ponte. La gente vedendolo correva per tutta la città dicendo “Mastro Titta passa il ponte”, e tutti, grandi e piccoli, correvano a vedere il “grande spettacolo”. All’epoca la gente portava a vedere queste crudeltà anche i bambini e, al momento dell'esecuzione, si dava loro uno schiaffo come ammonimento relativo a quello che sarebbe accaduto loro se non avessero percorso la strada giusta.

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      835) - Roma - 2019 - Questa è la foto dell'abbigliamento e degli strumenti di Mastro Tittta, conservati nell'apposito museo.
      In totale, le esecuzioni di Mastro Titta furono 516 (veramente, 514, perché le ultime due furono una fucilata e l’altra impiccata e squartata dal suo aiutante), di cui 460 disposte dal Governo Pontificio e 56 disposte dal Governo Francese dal 1810 al 1813.
      La pena di morte ha smesso di essere applicata a Roma alla fine del XIX secolo. Fa una certa impressione, eppure la pena di morte nella Città del Vaticano è stata definitivamente cancellata solo il 12 febbraio 2001. Giuridicamente legittima fino al pontificato di Woytila, la pena capitale uscirà infatti per sempre dalle mura vaticane solo con la revisione della “Legge Fondamentale”, l’equivalente della nostra Costituzione, firmata da Giovanni Paolo II.
      Pur non essendo mai stata applicata, la pena di morte nello Stato Vaticano, prevista esclusivamente in caso di tentato omicidio del Papa, appariva perfettamente legale anche nel periodo che va dal Concordato (1929) al 1967, anno in cui, di fatto ma non di diritto, Paolo VI la rese nulla.
      La prima esecuzione di Mastro Titta avvenne a Foligno il 22 Marzo 1796 e l’ultima l’11 Giugno 1864 o il 17 Agosto 1864.
      Dopo l'ultima, nel 1868, Mastro Titta fu collocato a riposo, su proposta di Monsignor Fiscale il quale nella sua relazione lo definisce l’illustre Bugatti. Il Consiglio dè Ministri avanzò la proposta a Sua Santità. Pio IX (ora, San Pio IX) l’approvò il 28 febbraio dello stesso anno concedendogli la pensione mensile di scudi 30 “in vista della di lui senile età e dei lunghissimi servigi”. A Mastro Titta non fu dato di assistere all'avvenimento di Porta Pia (20 Settembre 1870) in quanto quindici mesi e due giorni prima, ed esattamente il 18 giugno 1869, egli moriva.

830) - Roma - 1800 circa - Questo è un ritratto che un pittore sconosciuto fece a Mastro Titta, al termine di un'esecuzione.
      Dall'autobiografia:
      « Esordii nella mia carriera di giustiziere di Sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati. Giunto a Foligno incominciai a conoscere le prime difficoltà del mestiere: non trovai alcuno che volesse vendermi il legname necessario per rizzare la forca e dovetti andar la notte a sfondare la porta d’un magazzino per provvedermelo. Ma non per questo mi scoraggiai e in quattr’ore di lavoro assiduo ebbi preparata la brava forca e le quattro scale che mi servivano. Nicola Gentilucci, venne condotto coi polsi stretti da leggere manette, nella gran sala comunale, poiché volevasi dare la massima solennità all’esecuzione, stante la gravità del suo delitto, superiore a qualsiasi altro, trattandosi dell’uccisione di un curato e di due frati
      La Confraternita della Morte aperse il corteo. I confrati indossavano il loro saio ed avevano il viso coperto. Essi salmodiavano in tetro tono il Miserere.
      Afferratolo, condussi il condannato verso il patibolo a reni volte, perché non lo vedesse e fatto salire su una delle scale, mentre io ascendevo per un’altra vicinissima. Giunto alla richiesta altezza, passai intorno al collo del paziente due corde, già previamente attaccate alla forca, una più grossa e più lenta, detta la corda di soccorso, la quale doveva servire se mai s’avesse a rompere la più piccola, detta mortale, perché è questa che effettivamente strozza il delinquente. Il confessore e i confortatori intanto, saliti sulle due scale laterali, gli prodigavano le loro consolanti parole. Gli altri confortatori in ginocchio recitavano ad alta voce il Pater noster e l’Ave Maria e il Gentilucci rispondeva. Ma appena ebbe pronunziato l’ultimo Amen, con un colpo magistrale lo lanciai nel vuoto e gli saltai sulle spalle, strangolandolo perfettamente e facendo eseguire alla salma del paziente parecchie eleganti piroette.
      Staccato il cadavere, gli spiccai innanzitutto la testa dal busto e infilzata sulla punta d’una lancia la rizzai sulla sommità del patibolo. Quindi con un accetta gli spaccai il petto e l’addome, divisi il corpo in quattro parti, con franchezza e precisione, come avrebbe potuto fare il più esperto macellaio, li appesi in mostra intorno al patibolo, dando prova così di un sangue freddo veramente eccezionale e quale si richiedeva a un esecutore, perché le sue giustizie riuscissero per davvero esemplari. Avevo allora diciassette anni compiti.»

      831) - 1801 - Roma. La decapitazione era anche un buon motivo per raccogliere elemosine, ufficialmente per preghiere per l'anima del decapitato, in pratica nella cassa della Confraternita, che non aveva obblighi di rendiconto. Ecco un foglietto d'archivio riportante l'invito ad un affiliato:
      VENERABILE ARCICONFRATERNITA DI GESU’, MARIA E GIUSEPPE DELL’ANIME PIU’ BISOGNOSE DEL PURGATORIO
Carissimo Fratello sarà contento domani che saremo al Primo del presente Mese di Dicembre (1801) questuare per l’anima di Domenico figlio del fu Angelo Gigli Romano di anni …… Birro Reo di Omicidio irragionevole condannato dalla Giustizia al taglio della testa al Papale per la quale Opera Pia ne acquisterà merito grande appresso Iddio.
            Per carità si prega questuare con modestia, e senza battere la Regola e riportare subito la cassetta ed il presente bollettino alla nostra Archiconfraternita (il resto è illeggibile e chiude con) ...detta cassetta sulla Piazza del Patibolo.
      Le firme sono altrettanto illeggibili

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