LE FOTO DA 31 A 40

31) - 1933 - A Chiusavecchia (IM), quando le ferie erano soprattutto una scampagnata.

Due novellesi, Oreste Tarditi (il valente ed indimenticato pittore delle Langhe) ed Enrico Rostagno sono ospiti di mio padre, a casa dei miei nonni materni; era un po' la cosiddetta villeggiatura.

Enrico e Oreste, ancora scapoli, vivevano in grandi città e qualche giorno in un paesello dell'entroterra ligure, fra muli e asinelli, era una vacanza appagante.

32) - 1934 - La moto Guzzi di mio padre. Era di costruzione anteriore al 1925; infatti, nel 1940, la vendette perchè soggetta a requisizione bellica, come tutte le moto fabbricate entro il 1925. Ovviamente, c'era il solito meccanico che la comprò, sapendo come riciclarla.
       Aveva due caratteristiche. Una, il sidecar (che nella foto non c'è), che serviva ad imbarcare tutta la famiglia. Quando andavamo a trovare i nonni in Liguria, ci sistemavamo così: mio padre alla guida; sul sellino posteriore la pila delle valige; nel sidecar mia madre seduta normalmente con mio fratello più piccolo in braccio, io, seduto sul pianale del sidecar, accanto alle ginocchia di mia madre, con un cuscino davanti alla faccia per eventuali frenate brusche (aveva inventato l'airbag).
       L'altra era che andava a nafta. A quel tempo, quando una moto era in riserva, con un rubinetto bisognava aprire un altro piccolo serbatorio. Mio padre, dal serbatoio principale, aveva fatto partire un alambicco di rame che, girando con tante spire nelle volute delle alette orizzontali del motore, giungeva al carburatore, come pure vi giungeva, ma direttamente, il tubo del serbatorio piccolo. Nel serbatoio grande metteva nafta (così si chiamava il gasolio); nel piccolo benzina. Quando partiva, partiva a benzina e, dopo due/tre km. chiudeva il rubinetto della benzina e apriva quello della nafta. La quale, scaldandosi nell'alambicco fra le alette del motore, giungeva bollente al carburatore e funzionava benissimo.

33) - 1932 - Mio cugino Paolo col triciclo del cugino Dino. Avere il triciclo era una conquista, uno status symbol. Pauluccio ed io non lo avevamo, ma Dino sì. Allora, ce lo prestava con tante precauzioni, anche se già logoro e senza gomme. Ma vuoi mettere la fotografia col triciclo?

34) - 1932 - Mio nonno materno, nonno Carlin. Con la guerra, smise di fare il frantoiano e si limitava a coltivare l'orticello. Aveva sempre un pensiero per noi nipoti. Quando arrivava dalla campagna, ci chiamava e - mostrandoci la giacca appesa ad una sedia - ci diceva: "Guardate cosa mi è successo; venendo a casa mi è caduto qualcosa addosso e mi ha riempito una manica di qualcosa".
        Noi correvamo a vedere, a slegare la manica legata al fondo con un sottile vimine, e giù una cascata di frutti: piccole pesche di vigna, grappoli d'uva primaticcia, fichi. La mia passione erano i fichi, quelli piccoli, bianchi, rotondi.
        Mi sentivo - ed ero - felice.

35) 1935 - Mio cugino Vincenzo, con la sua carriola d'epoca.
        A 14 anni, nel 1943, un virus non identificato in pochissimi giorni lo portò alla tomba.

36) 1933 - Il transatlantico REX conquista il Nastro Azzurro e, al suo ritorno, il Regime lo pubblicizza in tutti i modi. Da molti paesi e città partirono comitive di italiani per andare a vederlo nel porto di Genova.
        Anche da Novello (CN) partì una corriera (allora, pullman e autobus si chiamavano così) e anche mio padre, con l'immancabile vecchia Kodak, andò ad ammirare l'orgoglio della marina mercantile e dell'ingegneria italiana.
        Erano giorni che sapevano tanto di riscatto e le menti semplici rimanevano affascinate dalle imprese volute dal Regime.

37) 1932 - Mia nonna materna, nonna Argentina. Era analfabeta, però, aveva imparato a leggere e, alla domenica - di nascosto, perchè nonno Carlin non metteva piede in Chiesa - andava in Chiesa a recitare l'"Uffizio".
        Era vegetariana ed ingenua.
        Quando, nel febbraio 1945, i tedeschi incendiarono la casa, perchè - dissero - un partigiano aveva sparato colpi di fucile dal retro, nonna "Gentina" fu allineata sulla strada con gli altri parenti. Mio nonno, poverino, che aveva qualche risparmio in contanti, era riuscito ad infilarli in una scatola di latta, di quelle da mezzo chilo di conserva, che teneva con finta noncuranza sottobraccio. Mia nonna, pur nell'angoscia di dover assistere all'incendio, era curiosa come tante donne e stuzzicava mio nonno:"Cusse ti ne fai de stu cornu suttubrassu (cosa ne fai di quella scatola sottobraccio)?".
        Mio nonno la strattonava dicendole a dentri stretti: "Sta ssitta!".
        Ma lei tornava alla carica: "Càcciu via, c'u te brütta (buttalo via, che ti sporca)!".
        Naturalmente, mio nonno non lo buttò e quei pochi soldi furono l'unico mezzo di sopravvivenza per alcuni mesi, ancorchè ospiti di parenti.

38) 1932 - Mia suocera, la terza da sinistra, quando era ancora signorina.

Al mare, sulla sassosa spiaggia ligure, si vestiva così.

39) 1932 - Zio Giuanin, fratello di mia nonna paterna. Amava i baffi e i cavalli ed era orgoglioso di aver servito la Patria in cavalleria, combattendo nella prima guerra mondiale a Bligny e rimanendo anche ferito.

Era - come si dice sulle Langhe - un "particolare", cioè, un contadino coltivatore diretto. Produceva dolcetto squisito ed avceva un cuore grande così, da bambino: si commuoveva facilmente.

40) 1932 - Mia zia Marietta, moglie di zio Giuanin.

Visse all'ombra del marito, nel lavoro dei campi e nel dolore per aver perso l'unico figlio maschio di 22 anni, per un male incurabile.

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