LE FOTO DA 21 A 30

21) - 1930 - A Monchiero, la Domenica dopo Pasqua, si teneva la fiera di San Fedele.

Nella foto, si vedono in primo piano, due allevatori novellesi: Ottavio Conterno, dei Corini (col bastone in mano, fra due bestie premiate) e Francesco Galvagno (Cichìn d' Busan) subito dietro, bello, corpulento, anche lui col cappello in testa.

22) - 1940 - Come appariva la piazza e la facciata della Chiesa all'inizio del quaranta.

In piazza, si vedono il parroco, don Graneris, e Valerio Tarditi, con la macchina che presumo del cavalier - nonché podestà - Anselma, l'unica del paese, che svolgeva anche servizio pubblico.

23) - 1932 - Omaggio a mio padre. Che morì nel suo letto per miracolo. Il 22 febbraio 1945, un gruppo di repubblicani salì a Novello col preciso scopo di arrestare quattro persone. Di due, non trovarono nessuno. Di una (era un partigiano) trovarono la vecchia madre, che disse: "Vado a chiamarvi mio marito, giù nell'orto". L'attesero, ma aspettano ancora adesso, perchè si precipitò dal marito ed entrambi se la diedero a gambe nei boschi.
Mio padre, invece, fu arrestato. Scendendo incolonnati verso Monchiero, un soldato gli disse, sottovoce: "Io sono solo un rastrellato, ma siamo venuti apposta per lei. C'è una lettera che l'accusa di attività antifascista e sarà fucilato domani mattina a Ceva. Veda lei. Se fugge, più della metà di noi sparerà per aria; ma gli altri sono fascisti convinti". A Monchiero, si fermarono al ristorante della Stazione per rifocillarsi un po' e il guardiano di mio padre, sempre col mitra spianato, chiese all'oste di andare al gabinetto. Mio padre chiese ad Alfredo, l'oste: "Dove l'hai mandato?". "Voglio mica che sporchi i miei bagni, l'ho mandato a quelli della stazione, qui di fronte!". Mio padre calcolò il tempo di andare, di entrare, di accoccolarsi e poi uscì lentamente, come per prendere una boccata d'aria. Sempre lentamente, fece una sessantina di metri, quando il suo guardiano, tornato ed accortosi, ordinò di sparare. Spari tanti, ma pallottole fischianti poche. Corse a perdifiato per altri cento metri, fin dietro una casa. Dopo cinque minuti, si tolse lo spolverino bianco (l'abito era scuro) ed uscì passeggiando, come fosse un'altra persona. Ricominciarono a sparare, questa volta furiosamente. Fece altri cento metri di corsa, incontrò una donna in bicicletta, che si era fermata spaventata dalla sparatoria, la scaraventò a terra, le prese la bicicletta (che, poi, restituì) e fece alcuni chilometri alla Fausto Coppi, sicuro che la truppa appiedata non lo avrebbe inseguito in pianura. E così fu. Ma, da quel giorno, ogni mattina si recò a far scuola solo dopo aver fatto il giro degli spalti del paese, da cui si controllano le vie di accesso, per vedere eventuali movimenti militari, ed ogni sera cambiò letto. A casa nostra, fino alla sua morte, l'anniversario della liberazione si celebrava il 22 febbraio.

24) - 1932 - Omaggio a mia madre, che morì quando avevo sette anni.

Di lei, ho un ricordo particolare. Un giorno, la mia maestra (2^ elementare) doveva mandare una busta alla maestra della classe di fianco, che era mia madre. Mi diede la busta e mi disse: "Mi raccomando, compòrtati bene!".

Tutto compreso del mio compito, bussai alla classe di mia madre, che mi disse "avanti".

Entrai, scattai sull'attenti battendo i tacchi (degli zoccoli, perchè quelli avevo...), sparai un perfetto saluto romano stando sull'attenti e dissi: "Buon giorno, signora maestra".

Alla quale scappò il riso, prima di dirmi "bravo".

Me ne accorsi e ci rimasi un po' male.

25) 1933 - Mia madre fra i suoi alunni (37 presenti), nell'anno scolastico 1932/33. Da questo periodo in poi, nelle foto scolastiche e di cerimonie pubbliche, si vedranno molte divise, segno dei tempi. In genere, i dipendenti pubblici - maestri compresi - erano obbligati ad avere qualche carica, con relativa divisa. Mia madre, tipo mite e figlia di socialista, non si era mai mossa dal suo paese di 300 anime, se non per frequentare le magistrali, a 10 km. di distanza. Venne in Piemonte come vincitrice di concorso, ma fu sempre schiva di tutto.
I ragazzi in divisa hanno, oggi, al minimo, 80 anni. Parecchi sono già deceduti.

26) 1934 - I balilla della classe quinta, con tanto di caposquadra, che poi abbraccerà il sacerdozio e diverrà parroco di Neive.

Mio padre, come insegnante, era preoccupato, perché la spesa per la divisa da balilla (o da figlio della lupa o da piccola italiana o da avanguardista) era a carico delle famiglie e si trattava di contadini di collina, per conoscere la vita dei quali basta leggere "La malora" di Fenoglio.

27) 1934 - Si tratta della stessa foto di cui sopra, che io ho diviso in due parti, per mettere in risalto i particolari.

Qui, finalmente, ci sono due ragazze che non erano figlie di contadini: una era la figlia del salumiere (ma vendeva di tutto) del paese e l'altra, la caposquadra, era la figlia dell'autista della corriera che faceva servizio per Alba e per Monchiero. Ma lui era solo dipendente.

28) 1934 - Mia madre, nella goffa divisa che non sapeva indossare bene, con un gruppo di Piccole Italiane. Non è una classe, perché le classi erano miste; eppoi, sono troppo poche e hanno tutte un diploma in mano. Penso si tratti di una delle tante esercitazioni obbligatorie, alla fine delle quali si dava a tutte un brevetto di qualcosa (brava ginnasta o qualcosa del genere) e poi, tutte nei campi paterni a sgobbare.

29) 1933 - L'interno di una classe, coi banchi di legno, il calamaio di ceramica inserito nel buco del banco, la scanalatura per la penna e, in prima fila,... l'immancabile fotografia del Duce!

30) 1934 - Mio nonno ci teneva tanto alle sue mucche, che le volle anche fotografate! Per la verità, aveva una sola mucca e ne acquistava un'altra solo quando la prima era in attesa del vitello, poi la rivendeva. Poichè, per arrotondare, mia nonna vendeva il latte ai vicini, non poteva restare qualche mese senza mucca lattifera.
        Mio nonno ebbe una disavventura giudiziaria. Subito dopo la guerra (si era nel 1946), aveva preso piede il pensiero che la roba fosse di tutti, specie quella degli altri. In mezzo ai filari, mio nonno, come gli altri contadini, piantava quanto necessario per la famiglia: fagioli, patate, pomodori, cavoli, insalata. Era un lavoraccio, perchè i filari erano stretti e bisognava far tutto a colpi di zappa senza toccare le viti. Ma spariva sempre qualcosa. Un giorno, mentre zappava chinato, e perciò non visto, sentì il rumore di qualcuno che raccoglieva i suoi fagioli. Si drizzò e vide una signora (si fa per dire...) adusa a servirsi della roba altrui. - "Ladraccia di una ladraccia!" le urlò. Per tutta risposta, quella rispose: "Ti denuncio!" e se ne andò coi fagioli. E lo querelò per l'insulto.
        Per il processo, dovette prendersi un avvocato, che lo istruì affinchè, quando interrogato, dicesse: "Sono vecchio e non ricordo". Al dibattimento, il pretore chiese: "Ha lei detto alla qui presente signora "Ladraccia di una ladraccia?"".
- "E cosa pretendeva che le dicessi?" fu la risposta, con l'avvocato difensore diventato di tutti i colori.
        Conclusione: assolto per insufficienza di prove.

Pagina successiva
Pagina precedente
Torna a FOTO
Torna all'indice