BUONE INTENZIONI (Giugno 2015)

      Qualche giorno fa, il primo Maggio, lessi su LA GUIDA di Cuneo un interessante articolo sulla scuola. Condivido molte, moltissime cose detta dalla giornalista, che dimostra non solo intelligenza, ma amore e competenza nel proprio lavoro (che presumo da insegnante).
      Rimango perplesso solo su alcuni particolari, che direi derivanti da una non completa conoscenza dell'impalcatura strutturale della scuola.
      Intanto, il riconoscere che i problemi trattati dalla "Buona scuola" dovevano - e dovrebbero ancora - essere divisi indica chiarezza di idee.
      Tralascio il problema più piccolo, su cui mi dilungai già fin troppo nei miei scritti pregressi, quello del modo di eliminare il precariato. Il buon Renzi non ci riuscirà, sia perché confonde precariato con supplentato, sia perché è osteggiato da tutte quelle forze che dallo stato attuale traggono forza per le loro rivendicazioni: meno c'è da protestare, meno seguito hanno. Si possono capire. Da alcuni fu suggerito il modo per eliminare finalmente le GAEI (sì, proprio GAEI: Graduatorie Ad Esaurimento Inesauribili) senza eccessivo onere per l'Erario. Apriti Cielo! Spiazzava i professionisti della protesta.
      Venendo alla parte principale, la vera eventuale riforma, si devono considerare alcune situazioni attuali. La collegialità (la spinta dal basso...) è una gran bella cosa, perché ognuno dice la sua, anche chi è incompetente o ha fini diversi dalla vera buona scuola. Il dirigente con ampia discrezionalità sarebbe l'optimum, come constatai andando ad esaminare scuole europee ed extraeuropee, ma a tre condizioni: che non sia politicamente condizionato, che sia veramente capace e che risponda (ma sul serio) di tutto ciò che fa.
      Parlando di collegialità, mi ricordo sempre del consiglio di un mio collaboratore. C'era una proposta abbastanza campata in aria e varie organizzazioni premevano perché se ne discutesse e si approvasse. Sapendo che non era cosa buona, per alleviare la mia responsabilità decisi di istituire apposita commissione e pensai a sei persone di varia estrazione scolastica, soprattutto sindacale. Il mio collaboratore (che s'intendeva di politica) mi disse: la faccia di diciotto persone, possibilmente di diciotto sigle diverse, così è sicuro che non deciderà niente. Aveva ragione; mi limitai a comporla di dodici e finì tutto in alcune interminabili e inconcludenti riunioni.
      Ma, tornando a noi, siamo sicuri che tutti i dirigenti scolastici siano all'altezza? Dovrebbero dirlo gli Ispettori. Ma siamo sicuri che tutti gli Ispettori siano all'altezza? E se qualcuno non lo è e rovina una scuola, che si fa? Non siamo nel privato e s'inizia una trafila di ricorsi, in cui il ricorrente ha sulla bocca una parola sola: TAR. Mi riuscì di concluderne uno solo positivamente, ma dopo quattordici anni! Eppoi, siamo sicuri che noi, provveditori (ex) e sovrintendenti, siamo tutti all'altezza? Bah, diciamo di sì, anche perché lupo non mangia lupo e, soprattutto, perché lupo non morde se stesso. Una vera riforma della scuola non dovrebbe limitarsi a "chi insegna".
      Rimane l'esame dei programmi, di cui non parlo, perché è la parte più difficile. Ma sono convinto che, nei limiti della capacità e delle predisposizioni dei singoli ragazzi, sia necessario smetterla di vedere la scuola come preparatrice alla vita venale; occorre tornare a farla diventare preparatrice di vita civica, etica, interiore. Superata l'epoca delle tre i, si cerchi, almeno per i licei (tutti) il ripristino degli studi di pensiero (per essere chiari: storia, filosofia, italiano e, almeno dove già esiste, latino). Sembrano parole banali, retoriche, ma la personalità si forma sulla conoscenza del patrimonio culturale del nostro passato.
      Ieri (5 Maggio) c'è stato lo sciopero; mi spiace contraddire la brava giornalista - che apprezzo ed ammiro - ma non partiva dalle considerazioni di cui essa parla. Quanto ha giocato l'eterno timore degli insegnanti di essere sottoposti a giudizi? La libertà d'insegnamento quante volte si trasforma in semplice libertà di fare o non fare? Siamo sicuri che quelli che protestano di più siano i migliori insegnanti? Quelli che amano la scuola e la vorrebbero veramente più seria? Che - e sono tantissimi - in essa si sacrificano oltre il richiesto dalle fredde norme?
      Bisognerebbe smetterla di mirare all'egoismo o al trionfo di un momento; pensiamo all'avvenire dei giovani cittadini; non lasciamo ai nostri successori un'eredità difficile e pericolosa, ma criteri ed esempi a cui i giovani sentano di dover ispirare la propria vita. Sono convinto che, malgrado gli sforzi di certi settori antiquati e dei fautori del gattopardismo, la scuola sia sulla via di un risanamento, sempre perfettibile, ovviamente. Purtroppo, per motivi anagrafici, non lo vedrò più.

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