In un giornale lessi, qualche tempo fa, che la scuola è la cattedrale della cultura. Io direi, più modestamente, la cattedrale dell'istruzione. E aggiungerei: se funziona bene.
Sto seguendo - come tutti - l'iter della riforma della scuola proposta da Renzi e subito sono tentato dal dubbio: ma è cosa seria?
Facciamo un passo indietro. Inizialmente, ero sostenitore della Gelmini, finché non s'incamminò su provvedimenti ad effetto, pour épatér le bourgeois che furono un vero e proprio assassinio della scuola. La distruzione del Liceo Classico fu il suo capolavoro negativo e i suoi successori non vi posero rimedio. Ma veniamo al presente.
Se Renzi vorrà essere serio, dovrà tener presente che i tre problemi principali (ripeto: principali, perché ce ne sono parecchi altri) sono: la qualità dei programmi, la qualità dei
docenti, la riorganizzazione dei metodi di assunzione. Sono argomenti che già trattai più volte nelle mie note precedenti e so, quindi, di ripetermi. Ma, repetuta juvant, diceva un mio professore di matematica, che non sapeva il latino, ma era chiarissimo in matematica e fisica. Vediamoli brevemente uno per uno, in tre puntate.
Qualità dei programmi. La frenesia attuale è di formare buoni impiegati, buoni artigiani, buoni professionisti di massa, buoni tecnici; il tutto da inglobare in quella categoria definita "quadri". E fin qui, tutto bene, ma non dimentichiamo che le teste pensanti, in qualunque campo, dal commercio all'industria, dalla politica alla managerialità privata e pubblica, vengono quasi tutte dal Liceo Classico.
Ora, prima si crearono centinaia di tipi d'istituto, poi si ridussero alla metà, poi s'incrementarono le tre i (inglese, informatica, impresa), e poi, e poi. Fin qui, tutto bene, se
non si fosse assassinato il Liceo Classico, la cui base portante è lo studio del pensiero.
Ridurre la filosofia nei Licei (Classico, Scientifico ed ex-magistrale) fu come chiudere l'ombrello per non bagnarlo o mettere acqua nel serbatoio per risparmiare. Si ha l'impressione che vi sia, a livello di governanti, il timore che i cittadini imparino a ragionare, a pensare in proprio.
Se consideriamo che i tre citati licei richiamano meno di un decimo della popolazione scolastica di 2° grado, non si vede perché negare a tale decimo la possibilità di formarsi una personalità completa, con apertura mentale che nessun altro indirizzo può dare. In particolare, il Classico, quando aveva meno ore complessive, era il più idoneo all'autostima, all'abitudine allo studio personale, all'organizzazione del proprio tempo, all'autocontrollo. Chi frequentava il Classico era conscio di dover studiare a casa tutti (TUTTI) i pomeriggi e tutto il pomeriggio, di doversi abituare all'autodisciplina per conoscere l'evoluzione del pensiero umano dalle origini ad oggi.
Fior di politiconi riempirebbero il Liceo Classico di materie di attualità; a costoro consiglierei di leggere il piccolo libro di Maurizio Ferraris "A cosa servono i filosofi?" (e capirlo...). Certamente, commercianti ed impresari viaggiano in Mercedes, mentre i filosofi vanno in bicicletta, ma il più tecnico degli scienziati è tale perché ha dentro di sé una maturazione filosofica. Il governo sia serio e pensi al domani degli Italiani.
C'è, poi, la leggenda metropolitana che i cervelloni siano tutti figli di papà e non del Classico. La verità è ben diversa e posso testimoniarlo. Ai miei tempi, si frequentava il Classico su suggerimento dei professori di terza media e, molto spesso, del parroco del paese. Nella mia classe, ad esempio, eravamo in 20, di cui tre orfani di un genitore. I 37 genitori viventi erano così distribuiti:
6 casalinghe,
6 contadini,
4 professori nelle secondarie,
3 maestri elementari,
2 geometri,
2 segretari comunali,
1 medico condotto in un paesino,
1 avvocato,
1 operaio generico,
1 pensionato FF.SS.,
1 tabaccaio,
1 usciere statale,
1 trebbiatore,
1 negoziante (mi pare, ferramenta),
1 ostetrica condotta,
1 sacrestano,
1 industriale,
1 colf.
Come si vede, la maggioranza era gente modestissima. Eppure damma mia classe uscirono ministri, dirigenti pubblici e privati, avvocati, professori, industriali, generali, chirurghi, farmacisti, scrittori. Data l'umiltà delle origini, sappiamo benissimo che ciò avvenne per merito del Classico, di QUEL Classico.
Se Renzi vuol ridare fiato all'intelligenza italiana (e se i suoi glielo permettono), dovrà per prima cosa (cioè, subito) por mano ai programmi dell'ordine cassico, scientifico e magistrale, reintroducendo un buon studio della filosofia, anche a scapito di altre materie.
Ancora un esempio? I miei tre figli, nella media, scelsero l'inglese, ma furono tutti messi in classi col solo francese (c'è chi pensa per fare un dispetto al padre provveditore...). Risultato? Oggi, uno insegna inglese, uno insegna IN INGLESE in una Università straniera, uno servì da traduttore simultaneo (italiano-inglese) in celebrazione di matrimonio. Come si vede, lo studio di una lingua non è una difficoltà per chi proviene dal Classico.
Ma il governo (il ministro, in particolare) si dia una mossa.
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