In questi ultimi tempi è di gran moda (ritorno ciclico) parlare dei compiti a casa e demonizzarli. Purtroppo, si tratta l'argomento come se la loro abolizione fosse solo una questione di mentalità. "Sono professori vecchi, sono abituati all'antica, sono superati dai tempi e dalla didattica", è il minimo che si senta dire, specie da chi non ha altre argomentazioni o ha
argomentazioni tutt'altro che serie.
Ho visto scuole, dal Belgio al Giappone, dall'Olanda a Taiwan, dagli Stati Uniti all'Argentina, in cui non si danno compiti a casa e i dati sono riportati dalle statistiche OCSE. Evviva! Ma che bravi! Scene di giubilo, insomma, ma senza analizzare le situazioni. Nella maggior parte dei casi, si fanno in classe i compiti che una volta si facevano a casa. Ma, oggi, chi avrebbe ancora voglia di correggerli? Ho in mente due scuole ( parlo delle secondarie di secondo grado) in due continenti diversi, senza compiti a casa. Ma l'allievo sta in scuola dalle 8,30 alle 17,30 dal lunedì al venerdì, coll'interruzione di un'ora per il pasto. C'è da morire, dirà qualcuno, ma non muoiono. Semplicemente, perché le ore sono opportunamente divise fra l'insegnamento ex cathedra (pardon, frontale, per i nemici del latino) e l'esercitazione controllata, ma svolta dall'allievo. Insomma, il compito a casa fatto in classe e seguito dal docente, anziché dal genitore che, spesso, si sostituisce al figlio.
Purtroppo, in Italia non abbiamo tale struttura scolastica, che porterebbe veramente all'eliminazione di ogni compito a casa. Non nascondiamoci dietro ad un dito: la situazione è questa e, finché non si modifica, sarà difficile sostenere l'inutilità dei compiti a casa. Se ne può sostenere semplicemente l'abolizione e so che tanti, da ambo le parti, la auspicano per motivi non coincidenti colla crescita culturale. Mi auguro che, anche da noi, si giunga presto alla cultura estensiva (parafrasando un'espressione dell'agricoltura), ma ci vuole la volontà, l'impegno e la disponibilità di mezzi economici.
C'è un piccolo settore che bisognerebbe lasciare a parte: il vecchio Liceo Classico. Dovrebbe essere la piccola nicchia riservata a quei pochi che amano il sacrificio, che sanno che lottare per imparare fa diventare uomini, che sanno che usciranno con una maturità di esperienza umana, conquistata giorno per giorno con lo studio personale. Saranno quelli più calatafati contro le inevitabili avversità della vita. Non saranno buoni venditori porta a porta né buoni procacciatori d'affari né buoni commercianti al minuto né dipendenti monoculturalmente strutturati (so fare quello e solo quello, anche se bene), ma sapranno vedere le cose dall'alto.
Tralascio il danno, enorme per il Classico ma pesante anche per altri tipi di liceo, di cui è cenno nei miei interventi precedenti: la riduzione dello studio del pensiero umano e delle vicende dell'umanità. La riduzione dello studio della filosofia e della storia è stato un colpo tremendo alla formazione dell'individuo, ma non vedo ancora all'orizzonte probabili ministri (o primi ministri) che sappiano valutarne l'importanza e vogliano (sempreché ne siano capaci) porvi rimedio.
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