La perfetta Letizia 17

PUZZE SOTTO IL NASO (Marzo 2005)

 

C'era una signora di mia conoscenza che, quando parlava dei contadini, arricciava il naso e faceva capire che lei proveniva da ben altro ceto sociale. Era una laureata che, in quaranta e più anni di lavoro, non era mai riuscita ad acquistarsi un alloggetto, mentre i vignaiuoli del mio paese (quinta elementare i vecchi e terza media i giovani), ogni anno, vendono il barolo all'ingrosso a camionate di 200 ettolitri per volta ed a 5 euro al litro.
          Non aveva la patente, ma non andava in bicicletta perché si perdeva dignità; se costretta a pranzar fuori, non andava in trattoria o in pizzeria, ma in ristorante, per non perdere dignità; si muoveva pochissimo in treno, ma solo in seconda (quando c'era la terza) e in prima (quando c'erano solo due classi), per non perdere dignità.
          Mi torna in mente quell'atteggiamento quando vedo - e me ne stupisco - l'accanimento con cui si tira in ballo la "pari dignità" a proposito della progettata riforma.
          Chi visita questo sito ed ha letto le mie precedenti esternazioni sulla perfetta Letizia sa che mi auguro che la Moratti se ne vada: ma non per la riforma, che, in fondo, cerca solo di dare ai giovani una scuola proporzionata alle forze di ogni ragazzo ed in grado di sfruttarne al massimo le singole possibilità.
          L'esperienza mi ha insegnato che, se uno ha capacità 2 ed un altro capacità 10, non si può impartire un'istruzione media, da 6. Il 10 sarebbe frustrato e si disamorerebbe della scuola ed il 2 si metterebbe a piangere perchè non assimilerebbe alcun sapere; sarebbero tutti disadattati. Alla lunga, la competitività dell'Italia calerebbe sempre più, così come le possibilità d'inserimento nel mondo del lavoro.
          Con la scuola uguale per tutti, per salvarne almeno la metà, bisognerebbe che fosse da 10, sacrificando i 2, o da 2 sacrificando i 10. A meno che -e questo è l'intendimento della riforma, portata avanti male - non si costruisca una scuola a misura d'uomo, cioè, di capacità, nei limiti del possibile.
          Secondo una certa logica - e molti se lo augurano - per seguire i fautori della pari dignità, si dovrebbe appiattire l'insegnamento al livello inferiore. E non mi parlino di percorsi individuali differenziati, quando la differenza è tanta: ci provino e vedranno.
          Eppoi, come posso dire al mio elettrauto (che guadagna molto più di me): "Lei ha meno dignità, perchè ha solo fatto una scuola professionale?" Non solo m'immagino la risposta, ma mi vergognerei io stesso d'aver pensato la domanda.
          Il concetto che chi non ha frequentato un liceo (non discuto la terminologia: mi riferisco ai licei della progettata riforma, che comprendono licei, magistrali, tecnici, eccetera) abbia meno dignità mi sa tanto di puzze sotto il naso, per non dire di razzismo.
          "Vile meccanico!", dissero a fra Cristoforo, per offenderlo (quando non era ancora frate e si chiamava solo Lodovico). Ma erano i tempi in cui il mondo era diviso in ceti: nobiltà, clero, borghesia. Il quarto stato, da cui provengo, era servo della gleba, senza dignità.
          Credevo che la servitù della gleba fosse stata abolita (di fatto) in Piemonte da secoli e, in Russia, da Alessandro II nel 1861 e che il pensiero umano fosse migliorato.
          Ma "posso aver fallato", per dirla sempre col Manzoni.

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