LA PERFETTA LETIZIA 3 (settembre 2003)

 

Trascorsi la mia fanciullezza in un paesino di campagna, sulle Langhe, dove la produzione dei nebbioli e dei dolcetti ha raggiunto vertici economici non a tutti noti. Già allora, però, si aveva la percezione che la coltivazione della terra, su quelle colline, fosse una miniera dal punto di vista del reddito. In tal modo, ogni famiglia faceva il calcolo di quante braccia fossero necessarie (sempre di meno) per zappare ed avviava allo studio le altre.

Ma anche i primi nati dovevano obbligatoriamente andare a scuola, almeno fino alla quinta elementare e poi fino alla terza media. Ciò era visto come una discreta perdita di tempo ed un ritardo nell'avviamento al lavoro dei ragazzi destinati a succedere al padre nell'azienda familiare. Per rendere l'idea di tale modo di pensare, i genitori erano soliti rivolgere agli scolari destinati alla campagna un ammonimento in dialetto piemontese ("stüdia che 't sapi"> o, in cuneese "stüdia ch' it sapes"), che, tradotto, vuol dire sia "studia affinchè tu sappia" sia "studia che poi zappi". Ovviamente, nel gioco di parole, si insisteva molto sul secondo significato.

Mi è venuto in mente tale detto, leggendo il disegno di legge che la perfetta Letizia ha preparato per risolvere il problema dei precari: qualche punto (sei, mi pare) in più a chi è già abilitato e va là che vai bene... Passino pure davanti quelli provenienti dalla S.I.S.S (Scuola Interateneo di Specializzazione per la formazione degli insegnanti della scuola secondaria).

Ohibò! E il merito? Quando ero in servizio (come sovrintendente) ho fatto parte del comitato S.I.S.S. presso l'Università e ne conosco i meccanismi e le finalità. Mi ero fatta la convinzione che fosse un ottimo sistema di preparazione all'insegnamento, monitorabile solo attraverso un concorso ORDINARIO. Ero, e rimango, convinto, che in nessun caso si potesse entrare in ruolo scavalcando chi ha sostenuto e vinto un concorso ORDINARIO. Va bene il riconoscimento della frequenza S.I.S.S. come effettivo servizio; va bene il punteggio maggiorato per chi ha frequentato tale scuola; va bene il numero chiuso per accedere alla stessa. Ma il tutto subordinato al superamento di un concorso ORDINARIO (questo termine ORDINARIO ossessivamente ripetuto in maiuscolo è una pluriripetizione voluta).

Che timore hanno gli aspiranti usciti dalle S.I.S.S. di un concorso ORDINARIO? Hanno una preparazione tale che si classificheranno certamente ai primi posti, sbaragliando tutti i concorrenti autodidatti. O no?

Ma chi il concorso lo ha già vinto (mi riferisco, ovviamente, esclusivamente ai concorsi ORDINARI, cioè, a quei concorsi dove i candidati partono tutti da zero e nei quali emerge la preparazione frutto di studio, di capacità e di intelligenza) ci rimane male nel sentirsi dire, ora, "studia che poi zappi", perchè chi il concorso non lo ha vinto gli sarà passato davanti.

E non mi vengano a dire che la frequenza S.I.S.S. è di per sè un concorso; certo che lo è, ma non ORDINARIO, come non è ordinario il concorso riservato, sia perchè è riservato - basta la parola! E poi, conosco quei concorsi, avendone organizzati tanti... - solo ad alcuni (come la S.I.S.S.) sia perchè sappiamo bene in che cosa consistano (soprattutto frequenza e tesina, anche se la S.I.S.S. non è cosa leggera). Qualcuno ha già dimenticato quanto si inveì contro i corsi abilitanti degli anni '70, che abilitavano in massa?

Allora? Tanto di cappello (senza applauso) all'astuzia della perfetta Letizia, che è riuscita a rimettere in auge il vecchio doppiosenso contadinesco langarolo "stüdia che 't sapi!".

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