E’ sempre più difficile parlare di scuola, visto il disinteresse generale per la cultura. Parlo della cultura, non dell’istruzione, da tutti proclamata come fattore determinante per la salvezza d’Italia e non solo.
Ricordiamoci che istruzione deriva da instruo (in-struo), cioè, colmare, mettere dentro. Ora, la Scuola, in questi ultimi decenni, si è prodigata a “mettere dentro” soprattutto nozioni tecniche, scientifiche, economiche, astrospaziali, artistiche, eccetera, valide ad affermarsi nel mondo e, se possibile, a far quattrini.
Ma come? E’ mancata la parte essenziale, frutto dell’educazione intesa come cultura. L’istruzione insegna ad agire utilmente, ma raramente arriva a far capire ciò che è bene e ciò che è male.
La cultura (educazione, da e-ducere, trarre fuori) insegna a capire che è interesse fare solo cià che è bene. E’ inutile ricordare l’imperativo categorico, sia nella versione di Aristotele, sia in quella di Kant, che così si possono sintetizzare: “L'imperativo categorico è un principio pratico che vale incondizionatamente per l'essere razionale: non è determinato dalle condizioni (se vuoi…. devi…). È un dovere per il dovere, necessario per se stesso, senza alcuna relazione con uno scopo”. Ma lasciamo perdere queste cosiddette – al giorno d’oggi – astruserie. Facciamo un esempio pratico.
I padri si vantano coi figli se riescono ad evadere l’IVA coll’idraulico, coll'imbianchino, col meccanico, eccetera; si vantano e non si sentono in colpa se superano a destra, se superano i limiti di velocità, se non usano o usano male gli indicatori di direzione (l'atto più pericoloso fra quelli indicati), se parcheggiano purchessia, se ottengono il reddito di cittadinanza pur viaggiando in Mercedes, se ottengono il monopattino statale solo per far giocare i figli, eccetera. Ne vanno orgogliosi, come esempio di furbizia, di intelligenza, di sapienza direi.
E la Scuola, negli ultimi decenni, che ha fatto? In ossequio alla libertà del libero pensiero, ha istruito, ma non educato. In pratica, dà ragione a Friedrich Nietzsche, il quale, dopo aver stabilito che Dio è morto e che Aristotele e Kant sono imbecilli, ha tratto una conclusione logica: se non esiste un imperativo categorico che ci dica che la persona deve fare il bene e non il male, vuol dire che l’uomo può fare ciò che gli pare; se è nelle sue possibilità e nei suoi desideri, qualunque cosa faccia, è sempre bene.
Con questa convinzione, viviamo felici e contenti.
Arrivederci (a quando? Non lo so.…).
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