(sonoro)
CONOSCERE IL TERRITORIO (Gennaio 2010)
Le statistiche sono noiose,
ma sono l'indice della situazione. Vediamo alcuni dati.
I Paesi
dell'Unione Europea (che comprende stati come
Ecco
altri dati, presi dai rapporti OCSE:
"""""I paesi OCSE spendono
il 6,2% del loro prodotto interno lordo (PIL) nell'istruzione, ma la crescita
della spesa tra il 1995 e il 2004 è scesa al di sotto della crescita del
reddito nazionale. Ci sono spazi per aumentare ancora l'efficienza della spesa
in istruzione. In Italia la spesa per studente fino alla scuola secondaria di
2° grado è comparativamente molto alta.
In Italia
la spesa annua per studente a livello primario e secondario è ben al di sopra
delle corrispondenti medie europee - 7390 (in dollari americani) per ogni
studente della scuola primaria e 7843 per ogni studente della secondaria, in
confronto a una media OCSE rispettivamente di 5832 e 7276. Inoltre, la spesa
per studente è cresciuta del 5% in termini reali nella scuola primaria,
secondaria e nell'istruzione post-secondaria non universitaria tra il 1995 e il
2004.
Nel corso della durata teorica degli
studi primari e secondari, l'Italia investe 99778 dollari per studente -
situandosi all'ottavo posto per investimenti nell'area dei paesi OCSE subito
dietro l'Austria,
L'Italia
investe comparativamente poco nell'istruzione universitaria, contrariamente a
quanto spende per l'istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non
universitaria. Con lo 0,9% del suo PIL destinato all'istruzione terziaria
l'Italia è il solo fra i paesi OCSE a spendere meno dell'1% del PIL
nell'Istruzione terziaria, e si situa al di sotto della media OCSE di 0,5 punti
percentuali. L'investimento in istruzione terziaria è più basso in Italia che
in Cile e in Israele."""""
Detto questo, sembrerebbe che, per materne,
elementari e secondarie, tutto vada bene. Invece, sappiamo che non è così,
perché ci sono due ostacoli: la qualità dell'insegnamento e l'iniqua
distibuzione territoriale.
Della
qualità dell'insegnamento parlammo in passato. Ora, basti dire che la qualità
non migliorerà fino a quando non ci sarà modo di allontanare dall'insegnamento
i non adatti. Non basta premiare i migliori, come vorrebbe Brunetta; bisogna
espungere gli incapaci. Tutto qui ed è inutile girare attorno al problema.
Dell'invenzione sindacale del precariato già parlammo ed è inutile ripetere.
Delle inutili compresenze (escluso il sostegno) idem.
Per la distribuzione territoriale,
invece, occorre far presente quanto detto il mese scorso: solo una dozzina di
Province hanno una media di abitanti per Comune inferiore a 2300. Di queste,
ben 6 sono in Piemonte. Più è frazionato l'insediamento abitativo, più
capillare deve essere il servizio scolastico. Non basta fare 2+2=4, come pare
facciano certi funzionari ministeriali; occorre calibrare la distribuzione
sulla realtà locale. E' ovvio (ma pare che non tutti ci arrivino) che più c'è
frazionamento, più ci saranno sedi scolastiche. Il resto è aria fritta.
Vediamo
alcuni dati piemontesi. Nelle elementari, il rapporto alunni/classe vede, con
densità decrescente, il seguente ordine: Torino, Novara, Asti, Alessandria,
Vercelli, Cuneo, Biella, VCO. Conoscendo il territorio, è un po' difficile
digerire lo scarto da 16,71(VCO) a 17,50(CN). Ma è così.
Nelle medie, si ha: Asti, Torino,
Novara, Alessandria, Cuneo, Vercelli, VCO, Biella. Balza evidente l'enormità di
Asti in testa e di Cuneo con classi più numerose che a Vercelli, a VCO e a
Biella. Ma è così.
Nelle
secondarie di 2° grado, abbiamo: Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino,
Biella, VCO, Vercelli. Che Alessandria, Asti e Cuneo - Province con piccoli
centri - abbiano le classi più affollate che a Torino la dice lunga.
I dati
sopra riportati sono una inutile guerra fra poveri, perché bisognerebbe
comparare tutte le Province d'Italia, specie per le elementari. Chi ha i Comuni
di 2000 o più abitanti non rischia di perdere la scuola. Ma alcune Province del
Piemonte devono gridare forte la loro peculiarità, sennò un qualche
funzionario, a tavolino, dichiara che le loro scuole sono
"marginali", cioè, a rischio di chiusura.
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