Diventa sempre più difficile parlare del mondo scolastico. Di qui la mia decisione di non continuare questa rubrica, se non per aspetti eccezionali che mi irritino.
Oggi, mi limito a parlare delle difficoltà dei docenti. Se il docente non mi piace, se sono minorenne basta prenderlo a pugni o minacciarlo; se maggiorenne, sarò scusato dalla giustizia perché lo feci solo perché ritenevo che la giustizia scolastica non fosse stata applicata nei miei confronti. Se credo di meritare un 8 e mi dà un 5, vuol dire che il docente è incompetente. Non è mica un magistrato, le cui sentenze non si discutono.
Si dice che non ci sia più educazione ed è vero, perché la Costituzione l’ha abolita; non c’è più il Ministero dell’Educazione, ma dell’Istruzione. E fu cosa giusta, perché educare era inteso non come trarre fuori (ciò che c’è di buono), ma come condurre e, naturalmente, condurre al pensiero al momento dominante. Istruire, invece, secondo la Treccani, significa «preparare, costruire, insegnare», genericamente.
Ma anche ogni docente ha i suoi pensieri, le sue simpatie, che ora sono soprattutto politiche. Ha diritto di averle, ma non deve prefiggersi lo scopo di trasferirle. Io ho ancora adesso la grande ammirazione per il docente di filosofia in due anni di Liceo Classico, perché, oltre a ricevere un insegnamento chiaro e convincente, noi studenti non siamo mai riusciti a capire quale idea politica avesse. Poi venne quello che tifava per il Partito dei Contadini (la Lega non c’era ancora). Ma siamo progrediti; c’è anche il Ministro che tifa per Salvini, il che, di per sé, non è male.
Non ho più voglia di parlare di scuola, che deriva dal greco SKOLEIO. Sempre secondo la Treccani, tale termine significava (come otium per i latini) tempo libero, piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali. Ma il tempo passa e i novantenni come me lo sanno.
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