Caro Beato Angelo Carletti, compatrono della Città di Cuneo,
Al mio paese è morta una ragazza: l'ha uccisa un tale che aveva già bruciato vivo un
suo compagno, accoltellato una persona e qualcos'altro. Ma non doveva essere
rinchiuso, perché così avevano deciso i giudici.
Che ne dici, Tu che te ne intendi? Lo trovi proprio caritatevole?
Ma la ragazza è morta; era al suo primo impiego, stava lavorando come addetta ai servizi sociali ed accompagnava l'assassino nella passeggiata.
Ti stupiresti (io no) se venisse vuori una sentenza che dice che i colpevoli siamo noi, io e quelli che mi leggono, perché con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e se non ci fossero quella non avesse trovato l'impiego, eccetera, eccetera?
Purtroppo, Tu sai che io sono un cattivo spirito raziocinante, poco fantasioso, e che rimango sempre del parere espresso due anni fa nell'articoletto DEI DELITTI E DELLE PENNE, dove sostenevo che le pene non devono essere severe, ma che ci deve essere una netta separazione fra chi irroga la pena (funzione giudiziaria) e chi gestisce l'attuazione della pena (funzione esecutiva).
Ma, forse, ai Tuoi tempi, Montesquieu non era ancora nato e la distinzioni fra i poteri dello stato non c'erano.
Che ne dici se qualcuno proponesse una legge secondo la quale, una volta liberamente irrogata la pena, chi deve farla eseguire sarà corresponsabile se il condannato, fruendo di qualche beneficio (facoltativo), commette un altro reato? Per spiegarTi meglio, se mi danno dieci anni e, dopo un po', mi concedono la libertà provvisoria, il permesso breve, l'arresto domiciliare, l'affidamento ad una struttura sociale, eccetera e, in tale condizione, commetto un reato, non è logico che chi si è sbagliato nel mettermi fuori paghi per lo sbaglio? Come fanno tutti i funzionari amministrativi, che pagano per aventuali loro errori?
Fammi sapere.
Con devozione, il Tuo fedelissimo
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