AMNISTIA, AMNISTIA! (Gennaio 2006)

Nel giorno di Santo Stefano, ho ricevuto una lettera da Fabrizio Belloni, triestino che si occupa di problemi politici. Ha espresso la sua idea sull'amnistia, idea non tanto importante in sè, quanto perché, da voci sentite, comune a molti italiani.

        Come al solito, non entro nel merito, anche perché, senza sapere che si sarebbe parlato di amnistia, espressi già parzialmente una mia opinione in merito nel maggio del 2004, con la nota DEI DELITTI E DELLE PENNE.

Il lettore valuti, razionalmente e senza lasciarsi prendere dall'emotività.

"""""In questi giorni il solito Pannella e il solito prete televisivo si stanno agitando come matti per ottenere l'amnistia e l'indulto per un notevole numero di persone che sono nelle carceri della Repubblica.

        Innanzi tutto vediamo che differenza c'è fra amnistia ed indulto. Se la memoria universitaria non mi tradisce, l'indulto cancella la pena, ma la colpa per aver commesso il reato resta (per esempio la reiterazione dello stesso reato comporterebbe l'aggravante della recidiva), mentre l'amnistia altro non è che il perdono per quanto commesso, come se mai fosse avvenuto.

        Sono strumenti a disposizione dello Stato, o meglio, del Potere, per gestire come meglio crede la supremazia, la forza, il potere, appunto. Ad esempio, in occasione di nozze reali o principesche o di incoronazioni, o di insediamenti pontifici, era uso e consuetudine elargire da parte del Signore una serie di amnistie per i peccati più "leggeri", meno gravi. Va tenuto altresì conto che a quei tempi molte detenzioni erano dovute a fatti che oggi comporterebbero multe o condizionali, e che le scarcerazioni restituivano spesso alle famiglie l'unica fonte di reddito, che era nella grandissima maggioranza di origine agricola.

        Oggi lo scenario è del tutto diverso e le condizioni socio economiche sono totalmente differenti. Oggi sembra emergere una vecchia e deprecabile debolezza italica: se non si riesce a dare risposte certe e definitive ad un problema, facciamoci suoi alleati. Per me è una posizione immorale: se qualcosa è "male", è "crimine", è "reato", tale rimane, anche se l'inefficienza di uno Stato ridotto alle grida manzoniane non riesce a frenare né ad arginare il problema. Un esempio? I furti. Si dice che ne vengano scoperti e puniti solo il cinque per cento, cioè che ne rimangano impuniti il novantacinque per cento. E si parla solo di quelli denunciati, che rappresentano, anno dopo anno, sempre meno la somma dei furti effettivamente perpetrati. Orbene, visto che non si riesce mettere un freno, un ostacolo a ciò che è "male" in sé, si crede di eliminare il problema dichiarando che quello che era "male" fino a cinque minuti prima, da adesso non lo è più. Sarebbe come dichiarare che il furto non è più un reato perché non si riesce ad arginarne il diffondersi a macchia d'olio.

        Non più di venti giorni fa, ad un Sottosegretario che parlava dell'amnistia, un mio amico fece presente che gli sembrava di essere tornato al tempo del vibrione colerico, quando l'acqua era considerata infetta se conteneva più di 100.000 bacilli colerici per centimetro cubo. Per rendere balneabile una certa area del Sud d'Italia, un politico locale d'allora propose che il limite di igienicità fosse portato a 200.000 bacilli. Semplice, no?

        Oggi si vogliono liberare le carceri perché scoppiano: ci sono almeno il venticinque per cento dei detenuti che sono in attesa di giudizio. E allora? La risposta è la solita risposta, immorale. Oggi non si pone, e non si vuole porre il dito sulla piaga del perché si è arrivati a questo stato di sovraffollamento. Ed invece di porre rimedio al fatto che un processo dura dai cinque ai quindici anni; invece di fornire di strumenti sufficienti e moderni ai 9000 e più magistrati, (che ogni tanto cercano di fare anche un lavoro che non tocca loro: la politica); invece di effettuare una dura ed efficace opera di prevenzione e di repressione al dilagare della micro e della grande criminalità, invece di prendere a sacrosante pedate nel sedere i farabutti - solo quelli, però - che vengono a delinquere a casa nostra, quasi che non ne avessimo abbastanza di quelli che abbiamo già da noi (mafia, camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita...), invece di costruire nuove carceri, adeguate al terzo millennio e non alle galere medievali; invece soprattutto di dare risposte che cerchino e tentino almeno di colpire le motivazioni vere e profonde della criminalità, invece di tutto questo, i nostri politici oggi altro non sanno fare che chiedere di far uscire i colpevoli già condannati. Non quelli in attesa di giudizio, badate bene, verso i quali amnistia ed indulto non possono essere applicati per contraddizione in termini, ma benevolenza verso i rapinatori di ville, verso gli stupratori (ne abbiamo visti di condannati a due, tre, quattro anni...), verso gli scippatori, i truffatori di vecchi pensionati, gli sfruttatori di povere fanciulle e di venditori di droga all'angolo delle strade o di fronte alle scuole medie.

        La voglia sarebbe di dire di sì, che li facessero uscire, all'insegna del tanto peggio tanto meglio. Sembra uno scherzo macabro, ma potrebbe finire così.

        Nessuno tocchi Caino? E se Abele cavasse un palo dalla vigna e cominciasse a menare botte da orbi?

Fabrizio Belloni, Trieste"""""

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