(sonoro)

I CONFINI DELLA TERRA

Se i nomi non sono che puri purissimi accidenti, come diceva Manzoni, figuriamoci i confini. Cambiano, si muovono, si aprono, si chiudono, fanno sempre più paura, sembrano l'immagine stessa del potere, poi diventano un muro, e frotte di giovani Io buttano giù cantando, e si portano a casa i pezzi per ricordo.
      Pensate quindi a un'ispettoria salesiana con quattro confini. Facile dire "è tutta Cina", o "la Cina è una", o "un paese due sistemi", o le altre belle frasi ad effetto che rendono la retorica quasi credibile. In realtà ancora oggi (anno giubilare 2000) per entrare a Hong Kong devi fare la fila alla frontiera e presentare la "arrivai card" e il visto, a Macao devi fare la coda e presentare la "arrivai card" e il visto, in Cina Popolare devi fare la coda e presentare la "arrivai card" e il visto, e a Taiwan (o Cina Repubblicana) devi presentare la "arrivai card" e il visto. Se poi ti capita di viaggiare spesso, sei sempre lì a scrivere "arrival cards" (e naturalmente "departure cards" quando parti). E a chiedere visti.
      Se poi viaggi in macchina all'interno della Cina Popolare, scopri che ci sono anche molti confini interni, tra Regioni Economiche Speciali, tra Est sviluppato e Ovest povero, tra città e campagna. E' più facile entrare a Shanghai se sei un cittadino americano che se sei un contadino cinese dell'Ovest, ma queste cose bisogna far finta di non vederle, e soprattutto non dirle, tantomeno scriverle. Si possono avere delle grane anche solo a leggerle queste cose, quindi non fatevi vedere.
      I confini. Una sbarra di plastica, lunga a sufficienza per prendere nella foto tutti gli amici del capitano, come capitò ai Tedeschi in Polonia nel '39. Un palo di tre metri che può dividere il mondo. AI di qua della sbarra, qui a Hong Kong, guidano a sinistra, tutte macchine di lusso; al di là, in Cina, guidano a destra, tutte macchine proletarie e biciclette, a Taiwan guidano.., in mezzo, tutti motorini. A Macao passeggiano.
      I confini. A Macao vai al mercato e usi le patacas, a Hong Kong i dollari, in Cina le banconote con la faccia di Mao, a Taiwan con quella di Chiang Kai-Shek. E voi ingrati a lamentarvi che la moneta unica europea vale meno del dollaro! A Hong Kong guardi la televisione con i programmi più casti ma anche più noiosi dell'universo, (hanno imparato dalla BBC); in Cina ci sono sei canali, ma su ognuno ogni giorno almeno 10 minuti a testa per ogni membro del Politburo. A Taiwan ci sono 99 canali, un terzo sport, un terzo dibattiti politici, un terzo film americani. Per consolazione dei lettori italiani, ho notato che comunque dappertutto si possono vedere le partite della Serie A italiana.
      I confini. Una sbarra di tre metri di plastica colorata, e i nomi delle strade sono bilingue in cinese e inglese, cinese e portoghese, cinese con i caratteri semplificati, cinese classico. Tre metri di plastica e quattro mondi diversi. A Macao c'è la Cina poetica che incontrò Matteo Ricci, a Hong Kong quella materialista dei grattacieli, a Guanzhou e in Cina quella del socialismo reale, a Taiwan quella taiwanese-nazionalista-filoamericana.
     lspettoria "Cinese".., facile a dirsi. Ma una volta che la storia si è mischiata con la geografia non è altrettanto facile ignorare il passato. Se chiedo il visto per entrare in una Cina devo firmare un documento che attesta che "non farò lavoro missionario". Se invece voglio ottenere il permesso di residenza a Hong Kong, devo dimostrare che sono un missionario. Se vuoi il visto per la Cina Repubblicana (Taiwan) devi presentare una lettera del Vescovo, se vuoi lavorare nella Cina Popolare devi negare di conoscere il Papa.
      I confini, queste sbarre di plastica, a strisce colorate, belle, poetiche. Non so se considerare tragico o ridicolo il fatto che possano dividere in maniera così netta mondi, culture, lingue e idee. L'unica cosa che è perfettamente uguale dappertutto è la grande "M" - e l'appetitoso cheeseburger - del McDonalds.
      I confini, puri purissimi accidenti. Ma quando ho provato a fotografarne uno, una guardia mi è corsa incontro dicendo "E' proibito".
      Gli ho detto: "Non posso far la foto a questa sbarra colorata? Non sei un po' esagerato?"
      Poi ho pensato a quei milioni di Cinesi poveri che cercano di entrare a Hong Kong sognando benessere, a quelle decine di missionari che cercano di entrare in Cina sognando conversioni, a quelle centinaia di Filippini che cercano di entrare a Taiwan sognando lavoro, e a quelle migliaia di Hong Konghesi che vanno a Macao a giocare al casinò, sognando ricchezza e si giocano casa, pensione, a volte la vita. Ho pensato alle masse che in un senso o nell'altro vedono quella sbarra colorata come ideale di futuro, come argine di salvezza, come ostacolo alla speranza, come frattura di unità, o come vergogna nazionale. Ho pensato a chi ha perso la vita per non aver raggiunto in tempo quella sbarra, a chi è morto per difenderla, a chi è stato trent'anni senza vedere i genitori perché erano dalla parte sbagliata.
      E mi è passata la voglia di fare le foto.
      Ho guardato quella guardia: un giovane poliziotto di Hong Kong, poco più di vent'anni, chiamato a rendere quella sbarra di plastica un abisso profondo tra ideologie, storie, prepotenze. Ho pensato al peso e alla responsabilità che quelle spalle dovevano affrontare e che la divisa non rendeva più leggere. Quasi mi son vergognato di giocare al turista. Ho messo via la macchina fotografica, gli ho stretto la mano e, con commozione, gli ho detto: "Ha ragione. Buon lavoro. Scusi il disturbo".

Nella foto: Prima uscita dal pub.

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