(sonoro)

LE FILIPPINE NON SONO SOLO UNO STATO...

. . .ma anche delle persone.
      Quando, dopo la Messa a St.Anthony Church in Pokfulam Road, a Hong Kong, la ragazza Filippina mi ha salutato in italiano mi sono stupito. Poi mi ha detto che Hon Kong era solo il suo ultimo - in ordine di tempo - luogo di lavoro. Prima era stata in Italia, Arabia Saudita, Taiwan. Prossimo sogno: gli Stati Uniti o, come seconda scelta, Australia. Quando aveva lasciato le Filippine la prima volta, il più piccolo dei figli aveva due anni. Ora si preparava al College, forse addirittura a Manila, se la madre continuava mandare a casa i soldi. L'idea di tornare in patria, a fare Ia disoccupata come il marito? Solo negli incubi. La figlia maggiore ora era in Arabia Saudita, al servizio di un principe o qualcosa del genere, che di Filippini ne aveva 18, dall'autista alla bambinaia, dalla cuoca al giardiniere. "E' quasi un villaggio" ho detto ridendo. "Si - mi ha detto seria - Ma senza chiesa. Mia figlia non va a Messa da un anno. Neanche a Natale... Sa, padre, là è proibito."
      lI 10% dei Filippini, cioè, circa sei milioni, lavora all'estero. Il contributo alla fragile economia dell'arcipelago è incalcolabile. Anche il prezzo pagato all'unità familiare e alla sanità psicologica. Pagano il corrispettivo di un anno(!) di lavoro alle agenzie di collocamento e, dopo due interviste in cui le quattro qualità più richieste sono: 1) sapere far bene il proprio lavoro; 2) non lamentarsi e obbedire in silenzio; 3) mostrarsi grati e dimenticare le ingiustizie dei padroni; 4) essere così disperate da accettare ogni salario, vengono spedite in giro per il mondo.
       Anche se i primi dodici mesi di lavoro saranno pe pagare il debito, davanti alle agenzie di Manila c'è sempre la coda. I "brokers" ci guadagnano, anche troppo. Recentemente, la Commissione Episcopale della Chiesa Filippina per i Migranti ha chiesto al governo di intervenire contro questo tipo di sfruttamento, ma senza successo. La maggior parte sono donne, molto richieste come baby sitters, per la cura di anziani e come donne di servizio. Sono servizievoli ed educate, pronte a riversare su bimbi e vecchi stranieri quell'amore che non potranno mai dare ai propri piccoli. Sono cattoliche e cordiali. Quando la domenica si riversano in 30.000 nella zone "Central" di Hong Kong o di fronte a St. Christopher a Taipei, la cosa che colpisce di più è che sono una folla immensa, ma non ispirano quel senso di minaccia o sospetto che un gruppo molto minore di marocchini o nigeriani spesso provoca. Perciò, quando voi lettori le vedete sedute sulla piazza della vostra città alla domenica, pensate che dietro quei volti sconosciuti ci sono forse storie come queste. (Tutte rigorosamente vere, ma ho cambiato i nomi, perchè sono amici miei). lo li ho incontrati, abbiamo percorso, come si dice, un tratto di strada insieme. Non li vedrò mai più, forse, ma il ricordo è vivo.
      Helena ha undici figli e un marito sempre in cerca di lavoro. Quando l'ho conosciuta le era già scaduto il permesso di soggiorno, che a Taiwan dura solo tre anni. Così questa signora di mezza età, di professione donna di servizio, presidente della Legione di Maria, aveva paura della polizia. Fu presa perché qualche amica (chiamala "amica"!) aveva fatto la spia. Ha trascorso 50 giorni in una cella di una stazione di polizia, dormendo sul pavimento di legno insieme ad altre cinque disgraziate. Un giorno ho portato un nostro parrocchiano, un signore occidentale, ricco, per bene, a visitarla. "Vieni, andiamo a trovare la Helena, quella del coro e della Legione di Maria". Siamo scesi nello scantinato. Dalla gabbia dieci mani chiedevano aiuto: "Per favore, contatti questo numero. Per favore, chiami il mio padrone. Per favore, chieda a questo numero che mi portino qualcosa da cambiarmi".
      Erano tutte signore di mezza età, alle spalle figli e povertà, chiuse in una gabbia, in nome della legge. Il mio accompagnatore ha detto qualcosa a proposito di Amnesty International o diritti umani: inutili astrattezze occidentali. Da buon prete borghese, gli ho dato un consiglio egoista: "Fai come me. Non pensarci troppo. Piuttosto vediamo cosa vogliono che facciamo".
      Edward fa il cantante in un hotel. Non guadagna molto, ma la vita è più facile che in fabbrica. Ogni sei mesi, o tre, deve cambiare posto. L'ho conosciuto perché veniva alla nostra Messa domenicale. "Da quanto tempo non torni a casa?" "Due anni. Sa, padre, ho un figlio di tre anni. Chissà quanto è cresciuto. Ho la foto, guardi". Una foto di un bambino, senza padre da due anni.
      Maria assiste un vecchio malato che non parla la sua lingua. Maria ha 32 anni, è partita appena si è presentata l'occasione. Ha dovuto lasciare il figlio di un anno alla nonna. "Un anno"! Non ne parla mai, se no si mette a piangere. Il marito è sempre attaccato alla bottiglia, cambia lavoro ogni due giorni. Maria spedisce i soldi a casa, e non sa che fine fanno. "Forse un giorno il mio bambino andrà al college". Ma per ora i soldi servono soprattutto a pagare i debiti della famiglia del marito.
      Eilin fa la bambinaia. E' pagata per guardare due bambine che han la stessa età dei figli che ha lasciato indietro. Ci mette tanto affetto. Alla fine del contratto la famiglia dei padroni era triste. "Adesso che deve tornare, le bambine sentiranno la sua mancanza" - le dissero. Ma Eilin non tornava a casa. Andava in Canada, per continuare a guardare bambini altrui, mentre i suoi crescevano da soli.
      Gonzalo lavorava in una fabbrica di lamiere. Faceva sempre il chierichetto alla nostra Messa domenicale. Un giorno un incidente gli ha ferito la mano. La ditta ha pagato l'ospedale, il più economico. Un chirurgo frettoloso gli ha tagliato un dito e lasciato la mano deforme. "Per quel prezzo più di così non si può fare". Poi è stato rispedito nelle Filippine: evidentemente alla fabbrica non serviva una mano sola. "Torno a casa - mi disse - e quando abbraccerò i miei essi vedranno la mia mano... Non ho ancora 30 anni e non potrò più lavorare come un uomo. Sognavo di tornare ricco e di essere l'orgoglio della famiglia. Sono un handicappato".
      Myrna ha 20 anni. Lavora nello stabilimento di una grande ditta di elettronica tedesca in Taiwan. Ci sono circa 800 giovani, hanno una domenica libera al mese, vivono nel dormitorio. Myrna sa quello che vuole: la fabbrica è solo il primo gradino della sua carriera: poi sogna di diventare baby sitter a Hong Kong, dove guadagnerà di più, poi donna delle pulizie illegale in Europa, e guadagnerà ancora di più, poi si sposerà un vecchio Canadese, e diventerà ricca. Ogni domenica, dopo la Messa, prega davanti a S.Giuseppe che nessuno degli altri giovani operai del dormitorio la metta incinta.
      Marylin e Joseph hanno trovato lavoro in due, marito e moglie. Ma non c'era posto per il loro bambino, che è rimasto con i nonni. Vivono in due posti diversi, lui nel dormitorio della fabbrica, lei nella casa dove è domestica. Si vedono ogni due settimane, alla domenica. Vanno a Messa insieme e si parlano del bambino. Lei gli dà da vedere le lettere da casa e, mentre lui legge, lei piange.
      Filippini: a casa loro sono poveri, all'estero sono stranieri. Ma io sono fiero di averne alcuni come amici.

Nella foto: La tata sorridente.

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