La perfetta Letizia 10

VIVA L'ALTERNANZA? (Luglio 2004)

 

          Ho assistito ad un dibattito sull'alternanza scuola-lavoro.
          Mi è venuto un dubbio: noi nonni dobbiamo chiederci dove mandare i nipoti a studiare o dove mandarli a lavorare?
          Mi sono anche fatta un'opinione che non collima con quella di molti dei relatori.
          L'idea della perfetta Letizia è di offrire la possibilità ai meno portati allo studio - col sistema dell'alternanza scuola-lavoro - di progredire nella loro maturazione culturale, calibrandola sulle loro capacità.
- "Eh, ma è inutile farli andare a scuola fino a 18 anni, se non riescono, se non ce la fanno, se non sono portati!".           E' il discorso che sento, anche da persone di scuola. Non è vero: non è inutile. Occorre, però, che l'impegno scolastico si adatti loro e non viceversa, come oggigiorno si pretende. Allora, l'alternanza col lavoro assume significato, a patto che si tratti di lavoro vero, a patto che sia monitorato, a patto che non sia frutto di speculazioni, tipo l'apprendistato. A questo proposito, sappiamo benissimo che, essendo la durata dell'apprendistato a tempo, certi datori di lavoro cambiavano semplicemente (lo fanno ancora?), allo scadere, la qualifica d'apprendista: ad esempio, prima apprendista tornitore, poi apprendista saldatore, eccetera; così il giovane rimaneva apprendista fino al limite massimo d'età consentito dalla legge. Ma torniamo a noi.
          Sentii discutere sulla difficoltà di programmare un'alternativa di lavorato - data per indispensabile - per i licei classici, scientifici ed ex-magistrali.
          Non sono competente a fornire ricette per un lavoro che sia veramente alternanza educativo-culturale alla scuola. Sono, però, in grado di pormi - e porre - una domanda: quando l'alternanza lavoro è utile?
          Per rispondere, occorre partire da un principio: che il periodo lavorativo deve essere formativamente (se non anche culturalmente) più producente del periodo scolastico. Se no, che si attua a fare?
          Ci sono ragazzi per cui tanto lavoro ed un po' di studio teorico sono l'optimum per farli crescere come cittadini; per altri, si ottiene lo stesso risultato spartendo equamente lavoro e studio; altri, infine, dallo studio teorico traggono un formidabile apporto per la loro crescita culturale: sostituirlo con qualsivoglia lavoro sarebbe portarli ad una minor crescita civica. In parole molto povere, ogni scuola, ogni indirizzo, dovrà chiedersi: in quel dato corso specifico, il lavoro può fornire più maturazione dello studio?
          Anche qui, non bisogna confondere la maturazione con la conoscenza della vita (conoscere il mondo, si diceva una volta...). In prima liceo, feci un tema in cui combattevo il sistema formativo del liceo classico.
- "A che mi serve conoscere la questione omerica, se non so neanche compilare un modulo di conto corrente postale?" - scrivevo, chiedevo e mi chiedevo.
          Mi sembrava un ragionamento logico, che, poco dopo, maturando, ripudiai in pieno. Il mondo viaggia sulle idee, per cui la democrazia di Platone, la coerenza di Socrate, la storia narrata da Tito Livio, le leggi di Mendel e di Gay-Lussac, la preghiera dantesca di San Bernardo, la conoscenza del pensiero debole ci formano più e meglio di qualsiasi alternanza lavorativa. Ma, per molti, un'alternanza di lavoro è l'unico modo (per ora) per non essere cacciati dalla scuola prima dei 18 anni.
          Per la semplice conoscenza dei vari lavori (ma non è questo il fine dell'alternanza scolastica), ci sono altri sistemi. Partecipai a settimane informative in Francia, dove, per una settimana, i ragazzi di una certa età (15/16 anni, mi pare, ma il ricordo si fa sbiadito) erano portati in un centro dove si erano resi disponibili rappresentanti di gran numero di professioni, dal panettiere all'avvocato, dall'assicuratore al negoziante, dall'idraulico al bancario, dal militare di carriera all'applicato, dal tramviere al muratore. Ma si trattava di prepararli a delle scelte, non a formarli culturalmente.
          Pertanto, mi chiedo: in un liceo classico, ad esempio, quanto può servire un'alternanza di lavoro? Togliamoci dalla testa che chi frequenta il classico non sappia che cos'è il lavoro, quasi fosse un minus habens. In genere, lo conosce meglio di altri, anche grazie al tipo di studio. Ricordiamoci anche che il classico, per molto tempo, fu l'unico liceo da cui si poteva accedere a tutte le facoltà universitarie. Poi, nel 1923, con la riforma Gentile, venne lo scientifico, con accesso limitato. Poi - ma è cosa relativamente recente - la liberalizzazione.
          Anche l'idea che il classico sia frequentato solo dai figli dei notabili e dei ricchi è un'idea balzana. Più ieri che oggi, per la verità.
          Ai miei tempi, si frequentava il classico su suggerimento dei professori di terza media e, molto spesso, del parroco del paese. Nella mia classe, ad esempio, eravamo in 20, di cui tre orfani di un genitore. I 37 genitori viventi erano così distribuiti:
          7 casalinghe,
          6 contadini,
          4 professori nelle secondarie,
          3 maestri,
          2 geometri,
          2 segretari comunali,
          1 medico condotto,
          1 avvocato,
          1 operaio generico,
          1 pensionato FF.SS.,
          1 tabaccaio,
          1 usciere statale,
          1 trebbiatore,
          1 negoziante,
          1 ostetrica,
          1 sacrestano,
          1 industriale.

Liceali assortiti, dunque. Meglio, liceali scelti in base a presunte capacità di riuscita.
          Io ed un mio compagno, futuro ministro, entrambi con quattro fratelli, per pagarci il convitto facevamo gli assistenti nel convitto stesso. Par cosa da poco? Ecco il nostro orario quotidiano:
- 5,30: Levata;
- 6,00: lavati, sbarbati e vestiti, bisognava dare la sveglia ai ragazzi;
- dalle 6 alle 6,30 cura dei ragazzi (che si lavino bene, che si vestano e che rifacciano i letti);
- 6,30: Messa;
- dalle 7 alle 7,50 assistenza in studio;
- dalle 7,50 alle 8,10 assistenza in refettorio;
- dalle 8,10 alle 8,25 accompagnamento alle scuole pubbliche cittadine;
- poi, corsa al Liceo per le 8,30;
- alle 12,25 (ci era stato concesso di uscire cinque minuti prima delle 12,30) corsa alle scuole - cittadine per ritirare i ragazzi e accompagnamento in convitto;
- dalle 12,50 alle 13,20 assistenza in refettorio;
- dalle 13,20 alle 14 assistenza ai giochi;
- dalle 14 alle 16 assistenza in studio (controllo dei compiti da fare, eccetera);
- dalle 16 alle 17 assistenza alla merenda e ai giochi;
-dalle 17 alle 19,30 assistenza in studio (controllo dei compiti, audizione delle lezioni, eccetera);
- dalle 19,30 alle 20 assistenza in refettorio;
- dalle 20 alle 21 assistenza ai giochi;
- alle 21 assistenza in camerata o assistenza in studio (fino alle 22);
- dalle 22 alle 5,30 riposo, ma con un occhio solo, perchè bisognava sempre badare a chi si muoveva, a chi non stava bene, eccetera.
          Naturalmente, c'erano le varianti: accompagnamenti pomeridiani, supplenza del collega assistente per sua malattia, eccetera.
          Eppure, anche in quelle condizioni abbiamo studiato e siamo maturati.

Oggi, effettivamente, è un po' diverso: figli coccolati, figli viziati, figli che hanno sempre ragione, figli che, alla prima contrarietà, si deprimono. Ma siamo sicuri che c'entri la scuola? E' giusto pretendere di più dagli insegnanti? Perchè non dai genitori?
          Anche se non piace ammetterlo, la perfetta Letizia ha idee chiare in proposito. Non sempre gli altri. Basti leggere ciò che scrisse il prof. Panebianco sul Corriere della Sera del 10.6.2004: "Recentemente, in una trasmissione televisiva dedicata alla scuola, il ministro Moratti ha fatto un'ottima figura sbaragliando tutti gli oppositori presenti per il semplice fatto che costoro nulla conoscevano dell'argomento in discussione."
          La perfetta Letizia - manager e grassa proprietaria nel mondo finanziario, assicurativo e della comunicazione - sa quello che vuole, con l'alternanza scuola-lavoro; infatti, lo schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro, ai sensi dell'articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n.53, definisce l'alternanza soltanto "opzione formativa rispondente ai bisogni individuali di istruzione e formazione dei giovani".
          Ma i suoi luogotenenti periferici sapranno gestirla bene? Non mi riferisco tanto alle scuole, quanto alle sovrintendenze ed agli ex provveditorati. Sono veramente di supporto alle scuole? (Centri Servizi Amministrativi, si chiamano). Dipende dai dirigenti preposti, cioè, dalla perfetta Letizia stessa.
          Mai come in questi momenti si giudica la capacità di un ministro; la scelta di proconsoli capaci è essenziale, tanto più che lo spoil system lo permette. Ma se i dirigenti subentrati non fanno meglio dei precedenti (mi auguro di no; spero che i nostri giovani colleghi siano tutti più bravi di noi giubilati), allora, il demerito è tutto del vertice, che sbaglia nello scegliersi i collaboratori o li sceglie volutamente in base a calcoli politici che nulla hanno a che vedere con l'interesse del Paese e, in particolare, dei giovani.
          Certo è che c'è chi, parlando di un articolo di legge, scrive "ex legge 1° marzo 1957, n. 90" (come compare sul sito di Cuneo). Se uno va a cercare quando è stata abrogata quella legge, scopre che non è stata abrogata affatto, ma che, alla latina, volevano dire "ex lege", cioè, articolo estratto da quella legge. Mi auguro che non abbiano fatto il classico, altrimenti, qualche dubbio sulle capacità può venire.

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