LE FOTO DA 61 A 70

61) - 1931 - Una classe della maestra Serafina. Lo scalone del castello, di proprietà privata delle famiglie Montagnoni e Muzzoli, era il posto ideale per foto di gruppo con sfondo "importante". La maestra non mancava mai di mettervi anche la bandiera, che allora aveva al centro lo stemma dei Savoia.
        Il primo in alto, da destra, era Felice Roggia, sacerdote salesiano missionario, morto in Ecuador.

62) - 1931 - Diego Vietti, quando aveva un anno, con mamma (a sinistra) e zia. Di umilissima estrazione sociale, di "mite" capacità scolastica (mio padre, che gli faceva un po' di ripetizione alle medie, si arrabbiava perchè, parlando dei Volsci, dopo avergli ripetuto sette volte il nome, continuava a dire "Volsceri"...), è fornito di una pratica intelligenza, di notevole perspicacia e di facoltà intuitive rapidissime (da giovani, al "circolo", mi vinceva sempre a dama...).
        Dapprima, fece il barbiere, poi rilevò l'osteria del paese, poi, fece il gran salto. Facendo debiti, riuscì a comperare il castello e lo adattò a ristorante-albergo, rendendolo uno dei più frequentati della zona. Basti dire che, in casi eccezionali, era in grado di servire 2000 (duemila) coperti contemporaneamente.
        Mi ricordo, un giorno, ad un pranzo per non so quale occasione, dove si venne a parlare del balzo in su che stavano facendo i prezzi e l'inflazione. Passandomi vicino, mi disse: "A roba a munta, mi sun a post!" (la roba aumenta, io sono a posto), alludendo alla maggior facilità di saldare i debiti con le banche.
        E' stato ed è una bandiera per Novello.

63) - 1931 - L'eleganza degli anni '30.
        Sono due sorelle. Quella centrale è Giovannina della Posta, detta anche Giovannina della Censa, perchè era l'impiegata postale, figlia della tabaccaia.

64) - 1932 - La classica Prima Comunione; è Adriana Manzone, la figlia di Barba Pinotu, quello della foto n. 49.
        Forse, in passato, pur con maggiori difficoltà economiche, si curava molto l'esteriorità delle cerimonie: basti guardare l'abito da "sposa" della bambina. Oggi, più saggiamente, molte Parrocchie hanno adottato la tunica uguale per tutti (da restituire, ovviamente).

65) 1932 - Una classe V^ di mio padre, a Novello.
        Li riconosco tutti, perchè hanno una decina di anni più di me. Buona parte, però, sono deceduti.
        Nella prima fila in basso, la prima da destra è Nini Rosso. Era anche la prima della classe e divenne, a sua volta, maestra a Novello e poi, sposatasi, altrove. Era spigliata, simpatica, brava ed elegante. Un giorno, a casa nostra, mia madre le fece i complimenti per un magnifico braccialetto d'oro. Rispose: "Guarda che vale cento lire; lo trovai in un uovo di Pasqua, ma, siccome lo porto io, tutti credono che sia d'oro...".
        Morì, giovane, in un tragico incidente stradale.

66) 1929 - E' una classe della maestra Baron, che, negli anni '20, fu un'istituzione nel paese.
        Aveva lasciato a mio padre (si conobbero, mi pare, per un solo anno scolastico) due annate rilegate del "Giornalino di Vamba". Non so quante volte, da ragazzo, lessi quelle due annate; poi, furono prestate a qualcuno e non tornarono.
        Mi ricordo due cose: una rubrica intitolata: "Le pistole di Omero" e la storia dell'unità d'Italia raccontata in modo accattivante. L'Italia era un condominio (lo Stivale) che poggiava per terra con le Alpi; man mano che si salivano i piani, si andava in Emilia, nel Lazio, eccetera. Aveva due dépendences a fianco, che erano la Sicilia e la Sardegna.I ladri cattivi volevano entrare scardinando una porta sulle Alpi (che, come detto, erano il muretto di cinta). Naturalmente, i bravi Savoiardi la difesero, così come cacciarono dai piani alti altri inquilini cattivi.
        Se qualche lettore rintracciasse tale racconto, potrebbe mandarmelo via e-mail, solo se riesce a copiare l'Italia-casa coi colori del testo?.

67) 1934 - Mia madre, al centro, col soprabito, con un gruppo che ritengo gente di scuola. Probabilmente, sono maestre. E' l'8 settembre, perciò, è nei pressi di qualche santuario.
        Ho altre foto della stessa giornata, dove si vedono tutte sedute nel prato per il pic-nic, con mio padre (per questo, penso alle maestre).
        Dalle altre foto, dove le persone sono piccole, ma il desco improvvisato sul prato è in primo piano, si vedono troneggiare bottiglie di barbera. Le facce sono da buone forchette e da migliori bicchieri.
        C'è quqlche lettore che può dirmi qualcosa sulle persone ritratte?

68) 1932 - Il paesello di Chiusavecchia (IM), col ponte "napoleonico" (ma è più vecchio) ed il torrente Impero.
        Nelle mie estati passate dai nonni materni, imparai a pescare nel torrente, cosa che non potrei più fare, non per l'età, ma semplicemente perchè erano tutti modi di pescare proibiti. Ne illustro (in questa ed in altre foto) quattro, facendo presente che si trattava degli anni '40. Col finire di quegli anni, ritornò anche la vigilanza dei guardapesca.
        1° modo: il barcaggio. Si costruiva una stuoia di canne, affiancando canne per tutta la loro lunghezza; dovevano essere lunghe ed uguali. La lunghezza della stuoia era data dalla lunghezza delle canne e la larghezza di circa due metri. La stuoia non era a maglie serrate: si lasciava un mezzo centimetro (non di più) fra una canna e l'altra. Poi, nei giorni di magra, si costruiva, nel torrente, una specie di muretto di pietre pesanti, in modo da convogliare l'acqua (per la verità, solo il flusso; la maggior parte doveva filtrare fra le pietre), in caso di piena, verso una direzione appositamente scelta, dove fosse possibile farle fare un salto. Il muretto finiva generalmente contro una parete rocciosa od una strettoia, dove si poneva la stuoia, aperta all'inizio, da una parte, e ripiegata a modo d'imbuto dall'altra. All'estremità a forma d'imbuto si legava un grosso sacco o una nassa, in modo che le anguille potessero entrare ma non uscire. Poi, si aspettava il temporale. Le anguille (i pesci erano disprezzati, a meno che non fossero o piccolissimi o trote...) si muovono molto nell'acqua torbida dei temporali; così, seguendo la corrente, finivano sulla stuoia, dove l'acqua in parte filtrava e in parte finiva nel sacco o nella nassa. Con le anguille, ovviamente. Qui stava l'abilità del pescatore-costruttore: nel fare in modo che giungesse un flusso d'acqua sufficiente a trascinare le anguille, ma non troppo forte da far loro saltare l'imboccatura del sacco o della nassa o, addirittura, da portar via il tutto con la forza della piena.

69) 1932 - Dino Merano (classe 1926, mi pare) con mia madre, a sinistra, e due zie.

70) 1932 - Sempre Chiusavecchia. Secondo modo di pescare: la "seccagna".
        Si effettuava nei giorni di magra, ma non di secca. Come si sa, i torrentelli si divaricano in braccia e rigagnoli, che poi tornano a riunirsi e poi a di nuovo divaricarsi. Si sceglieva un piccolo braccio e si lavorava a costruire un muretto di zolle di terra, abbastanza solido ed impenetrabile all'acqua, in modo da privare quel braccio dell'apporto dell'acqua del torrente. L'acqua del braccio defluiva e rimanevano soltanto, immobili, le pozze di alcuni bassi fondali, quelle buche che ci sono in tutti i torrenti e che sono pericolose per i bambini piccoli che vogliono bagnarsi. Con dei secchielli, si "gottava" l'acqua fuori dalle buche e le anguille, sentendo venir meno il loro elemento naturale, uscivano a secco. Bastava raccoglierle. Per chi non se ne intende, non è che si raccogliessero con le mani, perchè sono viscide e sgusciano (ma io ero bravo anche con le mani: sapevo immobilizzarle conficcando l'unghia del pollice nella branchia...); si usavano speciali tenaglie dentate, lunghe un metro, costruite in modo da conficcare alcuni denti nell'anguilla, senza tagliarla e senza rovinarla.

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